Webzine Sanità Pubblica Veterinaria

Numero 29 - marzo-aprile 2005 [http://spvet.it]
Documento reperibile all'indirizzo: http://spvet.it/indice-spv.html#275

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Logiche del processo di valutazione della dirigenza



Castrucci C., Pezzotti S.


PREMESSA

Il processo di aziendalizzazione realizzatosi negli enti del Servizio Sanitario Nazionale ha evidenziato la necessità di gestire la complessità organizzativa a livello diffuso mediante una forte responsabilizzazione dei diversi livelli dirigenziali al raggiungimento degli obiettivi strategici.
In proposito, costituisce ormai dato acquisito e pienamente condiviso dalla Direzione Aziendale quello secondo cui l'evoluzione delle concezioni relative allo svolgimento delle funzioni pubbliche ruota essenzialmente intorno allo slittamento progressivo dall'obiettivo tradizionale (e quasi esclusivo) di garantire la regolarità e la legittimità all'azione amministrativa a quello di assicurare e misurare l'efficienza e l'efficacia del modo in cui le strutture sanitarie attuano i rispettivi compiti istituzionali ponendosi nel contempo obiettivi di miglioramento. Non è, pertanto, ritenuta più sufficiente la sola legalità sostanziale, cioè la conformità alla legge dei comportamenti amministrativi, essendo necessaria altresì la realizzazione dei risultati prefissati. Trattasi in generale di una profonda evoluzione della concezione della P.A. chiamata non più soltanto ad esercitare i poteri connessi alle competenze riconosciutele, bensì a proporsi obiettivi e dimostrarne la realizzazione.
La progressiva acquisizione nella Pubblica Amministrazione di istituti e regole proprie del diritto privato, caratterizzati da un immediato contatto ed adattamento anche alla realtà economica, hanno portato alla stabilizzazione di un nuovo modo di concepire la funzione amministrativa in una logica imprenditoriale: è di tutta evidenza pertanto come anche l'antico controllo di legittimità si debba ormai evolvere nel controllo gestionale distinto, in relazione ai tempi di esercizio ed agli attori che lo compiono, in controllo di gestione e controllo sulla gestione.
In questo nuovo assetto ordinamentale, dunque, il dirigente dell'Istituto è chiamato ad operare e ad essere valutato secondo criteri non più meramente burocratico - giuridici, bensì secondo i diversi criteri di efficienza, di efficacia, di qualità e con riguardo ai risultati conseguiti dalla sua gestione.

In particolare nella realizzazione del modello organizzativo aziendale, da poco oggetto di rivisitazione, la Direzione ha cercato di prendere le mosse dalla definizione della mission aziendale e dei corrispondenti obiettivi strategici, per poi addivenire alla concreta individuazione dei modelli organizzativi e gestionali propri delle funzioni di governo, allo scopo di realizzare maggiore efficienza degli apparati e una più precisa individuazione delle responsabilità, cercando di partecipare e condividere le scelte con i soggetti chiamati a realizzarle. Il legislatore, d'altra parte, nel corso degli anni, ha potenziato la categoria dei controlli interni, in quanto espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa contenuti nell'art. 97 della Costituzione e recepiti dall'art. 1 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, che per prima ha conferito rilievo legislativo all'efficacia ed all'economicità dell'azione amministrativa.

I controlli sono rivolti a misurare l'efficacia dell'azione amministrativa complessivamente intesa, attraverso la comparazione dei risultati raggiunti con gli obiettivi ab inizio programmati. Con il Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 286, il Governo ha dato attuazione alla delega contenuta nell'art. 11, comma 1, lett. c) della Legge 15 marzo 1997, n. 59, operando una revisione del sistema dei controlli interni al fine di:
Sono stati dunque previsti quattro tipi di controlli interni, con forme di collegamento e raccordo tra le varie modalità di controllo:
  1. il controllo di regolarità amministrativa e contabile, che verifica la legittimità e la regolarità delle gestione in base alle norme vigenti; esso comprende anche i controlli sulla legittimità e correttezza dell'azione amministrativa;
  2. il controllo di gestione, che verifica l'efficacia, l'efficienza e l'economicità della gestione, ottimizzando i rapporti tra costi e risultati;
  3. il controllo strategico, volto alla verifica del raggiungimento degli obiettivi fissati nelle direttive generali annuali sull'azione amministrativa, inteso a coordinare e supportare l'attività degli organi di indirizzo e controllo politico ed a valutare l'adeguatezza delle scelte attuative adottate dal management in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti;
  4. la valutazione della dirigenza, volta alla verifica dei risultati, al rispetto delle direttive ed all'effettivo conseguimento degli obiettivi fissati; tale controllo risulta essere necessario per l'attivazione di meccanismi di responsabilità dirigenziale, oltre che per l'attribuzione ai dirigenti di una parte del salario variabile definito in sede contrattuale.
La valutazione della dirigenza (e più in generale del personale) costituisce indubbiamente una delle principali criticità che la pubblica amministrazione, nel suo ruolo di datore di lavoro privato, si trova ad affrontare per coordinare la gestione e la valorizzazione delle risorse umane con gli obiettivi prefissati.

LE RAGIONI DI UN PROCESSO DI VALUTAZIONE DELLA DIRIGENZA

E' naturale come a questo significativo coinvolgimento dei diversi livelli dirigenziali al raggiungimento degli obiettivi strategici, tradottosi nel concreto affidamento di responsabilità di gestione a far tempo dal 1° gennaio 2005, consegua l'esigenza di un sistema di valutazione inteso principalmente come strumento di monitoraggio delle funzioni di governo attribuite ai dirigenti e del grado di partecipazione del singolo all'organizzazione aziendale.
Nell'avviso che il sistema di valutazione costituisce solo una parte di un più ampio modello organizzativo aziendale, che trova il suo naturale ambito operativo nella mappatura e nella definizione dei contenuti professionali e manageriali degli incarichi, nella definizione delle aree di responsabilità lavorativa, nella graduazione delle funzioni, nella definizione e nell'assegnazione di obiettivi di budget di struttura e individuali, nella verifica dei risultati mediante indicatori predefiniti e nella costruzione di sistemi premianti, è convinzione della Direzione che affinché la valutazione possa essere perfettamente in linea con la pianificazione e con la gestione aziendale è essenziale che la costruzione dell'intero sistema origini dallo stesso modello organizzativo e dagli obiettivi che l'Istituto intende perseguire.

E' importante comprendere che una valutazione fine a se stessa o al limite diretta unicamente ad esprimere giudizi più o meno critici sull'attività dei singoli non è (e non potrà mai essere) l'obiettivo della Direzione.
Ciò detto, è evidente che un efficace sistema di valutazione debba comunque tendere alla valorizzazione del merito e, quindi, anche alla differenziazione retributiva; questo orientamento, se da un lato trova un preciso fondamento nella stessa contrattazione collettiva che in quest'ultimo decennio ha sottolineato come le risorse finanziarie destinate alla parte variabile della retribuzione sono disponibili esclusivamente in presenza di sistemi di valutazione operativi, dall'altro riceve inequivocabile conforto in numerose pronunce della Corte dei Conti sulla illegittimità della distribuzione a pioggia delle risorse indicate.

Alla base di questo ragionamento vi è la riflessione che, dopo le leggi di riforma, la Pubblica Amministrazione deve riconoscere il servizio all'utenza come l'aspetto centrale del suo modo di operare e, al pari del datore di lavoro privato, avvalersi della leva economica (retribuzione legata alla performance) per aumentare l'efficienza e l'efficacia delle prestazioni.

Il valore aggiunto di una seria valutazione per il singolo dirigente è rappresentato dal ritorno che tale modus operandi gli potrà fornire in ordine al proprio posizionamento nell'Istituto, alla misurazione del proprio rendimento ed alla possibilità di mettere in evidenza le proprie capacità dirigenziali, rapportandosi costantemente con il suo Responsabile. Parallelamente il valutatore (Direzione Aziendale o responsabile di struttura che sia) si potrà avvantaggiare della chiarezza dei rapporti instaurati con i propri collaboratori grazie al costante confronto generato dalla valutazione stessa, in quanto avrà compiuta consapevolezza delle risorse professionali presenti e da coordinare.

La valenza di un idoneo sistema di valutazione sarà chiaramente percettibile nel momento in cui si riuscirà, come è nelle intenzioni, ad evidenziare in maniera chiara le aree in cui devono essere realizzati interventi mirati ad eliminare il divario tra contenuti professionali richiesti e capacità professionali possedute ed iniziative per lo sviluppo di carriera e per la crescita professionale delle risorse umane.
A tale proposito il sistema di valutazione, mettendo in evidenza le professionalità presenti nel contesto aziendale, costituirà il presupposto indispensabile per realizzare una politica di sviluppo del potenziale delle capacità e competenze presenti in Istituto.

Da quanto sopra emerge che la valutazione della dirigenza dell'Istituto, oltre a costituire un inderogabile adempimento contrattuale, dovrà assumere un ruolo di coinvolgimento e di partecipazione dei dirigenti alla realtà aziendale, facendo in modo che, attraverso un patto dichiarato, siano partecipi ed edotti dei valori e dei principi su cui si basa l'organizzazione dell'Ente. In tale contesto, la valutazione rappresenterà una delle leve per affrontare i processi di cambiamento, mediante l'accrescimento in capo alla dirigenza di un forte orientamento al raggiungimento dei risultati.

IL RUOLO DEL DIRIGENTE

Quanto fin qui detto non può essere messo in discussione dopo la riforma del pubblico impiego, attuata nel 1993, che ha conferito alla dirigenza pubblica compiti diversi e più ampi rispetto alla precedente normativa, a cui fa riscontro l'assunzione di responsabilità connesse al raggiungimento di risultati certi e verificabili.
La stessa normativa, recependo il modello aziendale, ha ripartito in modo netto le competenze tra organi d'indirizzo e organi di gestione, riconoscendo tuttavia che per ottenere una gestione aziendalistica è necessario il concorso di altre condizioni:
Non vi è dubbio che nella prima attuazione di un tale modello aziendale, la dirigenza dell'Istituto si è trovata a fronteggiare fenomeni complessi, senza avere a disposizione mezzi sufficienti per fronteggiarli; è evidente, tuttavia, che a questo punto, avviata la nuova architettura organizzativa, sia necessario uno sforzo comune finalizzato alla sua piena realizzazione, possibile solo attraverso una crescita manageriale della dirigenza.

Le competenze che deve possedere un dirigente sono infatti un insieme di due dimensioni fondamentali: le conoscenze professionali e le capacità manageriali. Accanto alle prime, che investono l'area delle discipline scientifiche e tecniche, senza le quali nessun obiettivo potrà mai essere realizzato, vanno considerate quelle capacità che coprono l'area della cosiddetta managerialità ed attengono al processo decisionale, alla leadership ed alla capacità in genere di gestire risorse umane ed economiche.

GLI STRUMENTI

Come già detto in precedenza, in questo nuovo assetto il dirigente dell'Istituto è chiamato ad operare e ad essere valutato secondo criteri non più meramente burocratico - giuridici, bensì secondo i diversi criteri di efficienza, di efficacia, di qualità e con riguardo ai risultati conseguiti dalla sua gestione.
E' evidente che questo può essere realizzato solo attraverso un insieme di regole (inteso nel senso più ampio del termine) che specifichino i compiti e i doveri di coloro che sono chiamati a curare gli interessi degli utenti e dare risposte concrete alle loro domande all'interno dell'Istituto: importante è che il dirigente sia valutato secondo metodi sperimentati, partecipati, condivisi e uniformi.
I sistemi di valutazione, per essere coerenti con gli obiettivi dell'organizzazione, devono combinare varie esigenze: Ne deriva la necessità che l'Istituto si doti di un sistema di "valutazione permanente" che preveda strumenti equi, oggettivi, condivisi e partecipati, di valutazione dei comportamenti dei dirigenti, delle competenze organizzative sviluppate, dei risultati dell'attività svolta riferita ai programmi assegnati e agli obiettivi da perseguire, compatibilmente con le risorse umane, finanziarie e strumentali effettivamente disponibili.

Infatti solo un metodo sistematico di valutazione serve a superare e ridurre l'arbitrarietà e la soggettività del valutatore, favorendone l'imparzialità.
La valutazione è un processo complesso che coinvolge costantemente valutato e valutatore come attori responsabili; essa deve divenire il risultato finale di una attività quotidiana di gestione e di controllo delle risorse impegnate. Quindi il valutatore deve essere formato e supportato costantemente nel percorso valutativo, deve avere non solo competenze gestionali e tecniche, ma anche implementare specifiche competenze relazionali.
Inoltre il valutato deve poter partecipare attivamente alla valutazione e deve esser costantemente informato del suo andamento. Il D.lgs. 286/99 prevede organi di valutazione competenti di 1° e 2° istanza, identificando i primi in coloro che hanno una diretta conoscenza del valutato, quindi nei dirigenti superiori del valutato, e i secondi nel Collegio Tecnico, per la valutazione di tipo professionale e nel Nucleo di Valutazione, per la valutazione gestionale. Ciò non significa che vi debbano essere più gradi di valutazione, la valutazione è una sola.
La valutazione del Collegio Tecnico si basa sulla proposta di valutazione formulata in prima istanza dal responsabile della struttura alla quale il dirigente appartiene e sulla verifica dei risultati di gestione formulata annualmente dal Nucleo di Valutazione.

La valutazione deve: LA VALUTAZIONE PER OBIETTIVI

E' pensiero ancora diffuso che la valutazione della prestazione, nella logica amministrativa, sovente si discosti da ciò che l'individuo realizza effettivamente; per questa ragione si tende a preferire, in quanto svincolati da giudizi personalizzati, criteri automatici di carriera, come ad esempio l'anzianità di servizio, ovvero fattori comunque estranei alla prestazione.
Si sostiene, in particolare, che i criteri e le procedure di valutazione non sarebbero sufficientemente trasparenti e verificabili, lasciando eccessivo peso all'interpretazione soggettiva; in sostanza, il principale fattore di rischio, capace di delegittimare qualsiasi sistema di valutazione, sarebbe nel pericolo di un'eccessiva discrezionalità del superiore, indipendente dalle prestazioni professionali, dalle capacità individuate, ovvero dai carichi di lavoro. A questo tipo di obiezioni si ritiene di poter dare efficace risposta attraverso un sistema di valutazione per obiettivi (non più della prestazione) che presupponga:

a. una programmazione di obiettivi
b. una verifica di risultati misurabili (quantitativamente e/o qualitativamente).



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