Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche
Webzine Sanità Pubblica Veterinaria: Numero 44, Novembre 2007 [http://www.spvet.it/] ISSN 1592-1581
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QUASISPECIE VIRALI: PERSISTENZA DEI VIRUS E ZOONOSI



Alini D.


L'emergenza e la riemergenza di malattie infettive è influenzata, tra gli altri fattori, dalla genetica degli agenti infettivi; da quella delle specie ospiti e di quelle potenzialmente ospiti; da fattori ecologici quali l'intrusione in, e la modificazione di ambienti, l'aumento e la sempre maggiore velocità delle movimentazioni di uomini - animali - prodotti di origine animale, che creano nuove interfacce tra le comunità animali allo stato libero, con la loro biodiversità, e le comunità agricolo-urbane con la loro relativa omogeneità genetica ed alta densità di popolazioni umane, di animali domestici, di vegetali (4, 11).

Le quasispecie virali
In un ospite infetto la carica virale ha una componente statica ed una componente dinamica.
La componente statica può essere distinta nel numero totale di particelle virali e nel numero e tipo di genomi mutanti presenti sul totale. Tenuto conto che in media in un RNA virus ogni 100 replicazioni si hanno 76 mutazioni, che in un DNA virus se ne hanno 0.34, che in un retrovirus se ne hanno 20, si comprende come tra i primi e tra gli ultimi (ma soprattutto tra i primi) quando si parla di popolazione virale si debba intendere non una entità omogenea, ma piuttosto una distribuzione di genomi mutanti e a volte ricombinanti che va a formare una struttura di popolazione complessa e dinamica conosciuta come "quasispecie" (12,13). Con questa espressione si intende una distribuzione generata da un processo di selezione mediante mutazioni, nel quale la selezione non agisce su e con un singolo mutante, ma sulla quasispecie come entità (22).

Il concetto di quasispecie venne introdotto per descrivere una replicazione error-prone, cioè incline all'errore, ed una autorganizzazione di macromolecole primitive concepite per portare informazioni come precursori di più complesse forme di vita.
Le quasispecie virali rappresentano un sistema complesso adattativo, le cui caratteristiche sono che può mutare, che ha continuità nella forma di alcuni componenti ereditati o incorporati, che è dotato di meccanismi di risposta agli stimoli esterni. Così come il sistema immunitario dei vertebrati sfrutta una memoria in forma di espansione clonale di cellule, in risposta a stimoli antigenici, anche le quasispecie virali sfruttano una "memoria molecolare" contenuta nei componenti degli spettri mutanti. Una quasispecie virale è definita da una sequenza master e da uno spettro mutante. La sequenza master è la sequenza nucleotidica dominante nella distribuzione genomica; lo spettro mutante è l'insieme di errori di copia valutati in accordo alle relative capacità replicative, nel contesto dell'insieme dei mutanti.
Lo spettro mutante è il "deposito" delle varianti genetiche e fenotipiche, che potenzialmente può diventare dominante in risposta a stimoli ambientali. Nel corso di infezioni naturali da virus a RNA, sia le sequenze master che gli spettri mutanti spesso hanno una esistenza molto breve, poiché l'equilibrio di popolazione dei genomi virali è frequentemente perturbato da modificazioni ambientali (22).

Nella formulazione teoretica utilizzata inizialmente per definire la replicazione error-prone delle molecole a RNA semplice, le quasispecie furono definite come una distribuzione stazionaria (in equilibrio) di infinita grandezza di mutanti, incentrata attorno ad una o più sequenze master. Oggi si è provato, con strumenti matematici appropriati, che l'equazione differenziale (non lineare) che definisce la replicazione error-prone in popolazioni finite, ha una approssimazione lineare risolvibile; perciò si possono definire quasispecie delle distribuzioni virali finite (13, 14, 15).

Prove sempre più numerose indicano che l'evoluzione di quasispecie può portare alla selezione di varianti virulente ed all'emergenza di nuovi virus patogeni (esempi sono lo shift del virus influenzale, la variabilità del virus HIV, il virus della malattia vescicolare del suino).
La componente dinamica è data dai tassi di replicazione virale (ad esempio HIV produce 1010 - 1012 virioni pro die) e dal conseguente aumento di popolazioni mutanti. L'equilibrio tra i tassi di mutazione ed i cicli di replicazione è una delle ragioni della grande adattabilità degli RNA virus, i quali hanno brevi tempi di replicazione, alta produzione, ed alti tassi di mutazione. Le distribuzioni mutanti che compongono le quasispecie virali sono la materia prima su cui agiscono le forze selettive e gli eventi di randomizzazione nell'evoluzione molecolare dei virus a RNA.
L'evoluzione delle quasispecie dipende strettamente dalla dimensione della popolazione virale coinvolta nell'infezione: si hanno guadagni di fitness per passaggi in grandi popolazioni (12).
Oltre a costituire una strategia adattativa di base, l'organizzazione genetica delle quasispecie ha diverse implicazioni biologiche, alcune delle quali hanno un rapporto diretto con la persistenza virale, anche se l'infezione persistente non è necessariamente un prodotto della struttura quasispecie; al contrario l'infezione persistente è necessariamente, ed evidentemente, il risultato di una interazione tra virus ed ospite e/o ambiente.
Queste implicazioni biologiche vanno dalla patogenesi delle infezioni virali, all'emergenza di nuovi patogeni; dalla rapida variazione antigenica, alle alterazioni nel tropismo cellulare, nella virulenza, nel range di ospiti, nell'espressione di geni virali (10).

La persistenza dei virus
La maggior parte dei virologi tende ad accettare il concetto che alcuni virus spesso sembrano avere dei patterns di infezione dell'ospite che possono essere acuti o persistenti, i quali vanno a definire due strategie di vita di virus con distinte ecologie evolutive, che possono avere conseguenze sulla fitness virale e sulle relazioni ecologiche ed evolutive dei virus stessi. E' possibile che agenti virali persistenti ospite-specifici siano all'origine di malattie acute emergenti in seguito ad adattamento del virus ad una nuova specie ospite (25).

La strategia "acuta" è un esempio di infezione temporanea in cui la risposta immune dell'ospite va ad eliminare o a prevenire il continuare dell'infezione nello stesso ospite, dato dal susseguirsi dei cicli replicativi del virus. In questo modo, questi virus devono trovare un nuovo ospite durante il limitato periodo di replicazione, per poter continuare il ciclo infettivo. Questa strategia è applicabile all'infezione influenzale nell'uomo, così come all'infezione da Rhinovirus, al morbillo, e ad altre infezioni della specie umana.

La persistenza può essere definita come quello stato, in un ospite, che segue ad un periodo iniziale di infezione produttiva ed alla risposta antivirale dell'ospite, nel quale il virus mantiene la capacità di replicare continuamente o periodicamente nello stesso ospite, per un certo periodo. Questi virus non vengono totalmente "eliminati" dalla risposta immune dell'ospite (non vi è la clearance completa). Questa definizione di persistenza include le condizioni di latenza nelle quali l'attività replicativa del virus può essere parzialmente o totalmente soppressa per periodi prolungati, ma è mantenuta la capacità di riattivazione (25). Viene esclusa da questa definizione quella che altri autori includono come persistenza del virus per continue infezioni di ospiti suscettibili, alla quale si accenna brevemente (12).
Questo tipo di strategia non implica necessariamente una persistenza del virus nel singolo ospite, così come non implica necessariamente una stabilità a lungo termine del virus come particella libera. Di questa evenienza, definita anche durabilità (nell'ambiente) del virus, si possono distinguere due casi.
Persistenza in natura. Tutti i virus hanno sviluppato strategie funzionali ed adattative. Le strategie dei virus a DNA e di quelli a RNA hanno caratteristiche diverse.
I grossi virus a DNA (Herpes, Pox, Irido, Adenovirus) hanno una informazione genetica complessa, quindi è necessario mantenere nei limiti di questa informazione la loro tolleranza alle mutazioni; al contrario i virus a RNA spesso sfruttano le mutazioni per ottenere cambiamenti nel range di ospiti e per sfuggire le risposte anticorpali e dei linfociti citotossici (CTL). Persistenza a livello di popolazione. Per mantenersi in natura ed evitare l'estinzione, i virus devono avere ospiti suscettibili, ma anche adattarsi ad un largo range di ambienti biologici.

Anche la persistenza in un singolo ospite potrebbe non aiutare la persistenza a lungo termine del virus in natura senza influenze addizionali, come la possibilità di trasmissione all'interno della stessa specie (per via sessuale, parenterale, aerosol) o ad una specie diversa.

I Rhinovirus, ed i virus influenzali, non persistono nel loro ospite e riescono a persistere nell'ambiente e nella popolazione mediante continue infezioni per aerosol o con altri tipi di contatti. All'altro estremo troviamo la complessità del ciclo degli arbovirus, che infettano sequenzialmente diversi ospiti tramite un vettore. Prove indicano che poche mutazioni puntiformi nel genoma virale, possono essere sufficienti ad alterare gli equilibri di crescita del virus nei cicli enzootici, sino a rendere il virus epizootico (ex. VEE) (12).
La persistenza in un organismo richiede un rifornimento di cellule suscettibili replicanti alla stessa velocità del virus, e la capacità del virus di sopravvivere alla risposta immune dell'ospite. Nei virus a RNA la produzione continua dei mutanti, connessa alla dinamica delle quasispecie, contribuisce alla sopravvivenza virale.
I virus spesso utilizzano recettori e corecettori alternativi, e la sostituzione di uno o pochi aminoacidi nelle superfici esposte può scatenare uno shift nella specificità dei recettori. Diversi virus possono persistere dopo un'infezione acuta (HBV, HIV 1, FMDV, Herpesvirus, virus del Morbillo), e la dose di virus infettante spesso determina o la clearance o la persistenza a lungo termine. Studi sperimentali effettuati sul virus dell'afta (FMDV), hanno mostrato che le sequenze genomiche fluttuano all'inizio della persistenza, ma che il virus si adatta alle prime cellule sopravvissute selezionando varianti più virulente, piuttosto che attenuate. Questo risultato dà la prova di un meccanismo di inizio di persistenza virale in cui la cellula, e non il virus, gioca il ruolo cruciale (8, 17).

I virus trasmessi verticalmente possono indurre immunotolleranza e persistere nell'adulto. I virus possono persistere anche perché sequestrati in alcuni siti privilegiati di un organismo, come il SNC, parzialmente "nascosti" alla reazione immunitaria. I virus che infettano i linfociti o i macrofagi (HIV, Citomegalovirus, morbillo) possono alterare le risposte immuni e conseguentemente facilitare la persistenza.

La maggior parte dei virus a DNA aderisce alla strategia della persistenza, così come diverse infezioni da retrovirus sembrano adattarvisi, ed anche alcuni virus a RNA la adottano nei loro ospiti naturali.
Questi virus persistenti sono in genere specie specifici e geneticamente stabili e mostrano sovrapponibilità filogenetiche o cospeciazione con il genoma dell'ospite (8, 21); tra i casi più studiati di corrispondenze filogenetiche virus-ospite vi sono gli Hantavirus e gli Arenavirus dei roditori, i Papillomavirus umani, ed anche gli Herpes sembra che mostrino queste corrispondenze.
La fitness di questi agenti include una notevole componente temporale durante la quale il virus ha una minima probabilità di infettare un nuovo ospite in un breve lasso di tempo. Perciò deve rimanere vitale nell'ospite per lunghi periodi al fine di massimizzare la probabilità di trasmissione. Si ha un comportamento che si avvicina al commensalismo, che apparentemente non esige un costo di fitness per l'ospite.
Comunque alcuni virus hanno sviluppato strategie specifiche che obbligano l'ospite a "mantenere" il genoma virale.

Poiché la maggior parte delle epidemie acute dipendono sostanzialmente dalla densità della popolazione di ospiti, non ci si dovrebbe attendere l'evento epidemico in popolazioni/specie isolate o non gregarie, come quelle dei cacciatori-raccoglitori, prevalenti durante buona parte della prima evoluzione dell'uomo. Di conseguenza, facendo sempre riferimento all'uomo, la maggior parte dei virus "acuti" sembra essere stata acquisita nel momento in cui la popolazione, con l'inizio delle attività agro-zootecniche, è diventata stanziale ed è aumentata di densità: cioè è aumentato il numero di individui presenti nell'unità di spazio; oltre a questo si è instaurato un più stretto e continuo contatto con gli animali, dovuto all'opera di domesticazione, che ha portato alla comparsa delle zoonosi.

Di seguito si esaminano degli esempi che possono dimostrare come eventi acuti possono scaturire da agenti persistenti in altre specie ospiti.

L'influenza A nella specie umana è un virus che adotta la "strategia acuta" e mostra una alta variabilità genetica in ordine alla continua infezione della popolazione umana che diversamente acquisirebbe una immunità di gruppo persistente.
Del virus A si conoscono 16 emoagglutinine (HA) e 9 neuraminidasi (NA), per un totale di 144 combinazioni antigeniche differenti. Oltre a queste combinazioni "primarie", per effetto dei fenomeni di drift e di shift, se ne hanno altre "intermedie" o totalmente nuove, le quali danno ragione della comparsa di epidemie, piuttosto che di pandemie. Infatti i virus circolanti in una popolazione cambiano la loro struttura proteica 2-3 volte l'anno, allontanandosi lentamente e progressivamente dal ceppo di provenienza, ed anche dalla immunità "di gruppo" presente (drift), fino a che il virus si differenzia dall'originale ad un punto tale da infettare gli organismi già immunizzati nei confronti del "progenitore": si è in presenza di una epidemia. Se il cambiamento nel make-up virale è sostanziale (e rapido), tale da produrre un ceppo interamente nuovo (shift), che per la maggior parte degli organismi sensibili è immunologicamente ignoto, si ha una pandemia (4).

Sembra che tutti i 16 sottotipi HA di virus influenzale A abbiano origine da adattamenti successivi di un virus che infetta le popolazioni di uccelli acquatici. Al contrario dell'infezione umana, quella degli uccelli acquatici è una infezione persistente e generalmente inapparente dell'intestino. Il virus persistente mantiene un alto livello di omogeneità genetica con pochi cambiamenti (mutazioni). Perciò è probabile che l'infezione umana rappresenti un caso di jumping di un virus persistente proprio degli uccelli acquatici.

Nell'uomo, gli Hantavirus, possono causare una febbre emorragica con sindrome renale acuta e fatale, o una malattia polmonare. Questi virus non sono pienamente adattati alla trasmissione diretta nell'uomo, che è stata raramente osservata (26); questo fenomeno di ripetuta trasmissione di virus non umani all'uomo, senza una corrispettiva trasmissione interumana (o con rari episodi di trasmissione) è stato definito "chatter virale" (Wolfe et al., 27). In questo caso l'uomo è un ospite accidentale, "spillover", infettato al di fuori dello spettro normale di ospiti, mentre l'ospite naturale sono vari roditori nei quali si ha una infezione persistente e inapparente dei reni e di altri tessuti.
La durata della viremia nei roditori infetti, e la persistenza del virus nei tessuti, possono indicare la possibilità di contaminazione ambientale di lunga durata, tramite escreti e secreti. Inoltre, l'individuazione del virus nel grasso bruno di alcune specie di roditori, fa pensare che questo tessuto possa essere un importante sito di overwintering del virus stesso (1). Gli Hantavirus inoltre, benché siano virus a RNA potenzialmente ad alto tasso di mutazioni, sembrano essere geneticamente stabili nel loro ospite naturale. Le interrelazioni tra i virus ed i loro principali ospiti naturali mostrano notevoli concordanze (Schmaljohn e Hjelle, 23); ciò suggerisce una relazione evolutiva di lungo termine tra di loro (coevoluzione) che rende difficile il pronto adattamento a nuovi ospiti. Infatti in un determinato sito geografico è possibile trovare più Hantavirus, ognuno circolante nel suo proprio reservoir, senza apparenti interferenze evolutive sugli altri virus.
Altre infezioni acute emergenti nell'uomo, benché meno bene caratterizzate, sono probabilmente emerse da un persistente, ma fino ad ora sconosciuto, ospite specifico che funge da reservoir.

Tra queste si ricordano l'emergenza di infezioni acute da Rhabdovirus, trasmesse da varie specie di chirotteri infetti persistentemente, in Australia, ed anche alcune febbri emorragiche, quali Marburg e Ebola, si suppone che possano seguire lo stesso iter epidemiologico, nonostante nulla si sappia di chiaro circa il reservoir.
Per quanto concerne quest'ultimo virus, le prove dimostrano che esistono differenze biologiche tra i ceppi conosciuti - quelli africani sono più virulenti di quello asiatico (EBO-Reston), EBO-Zaire è più virulento di EBO-Sudan - suggerendo la possibilità dell'esistenza di altre varianti con largo spettro di patogenicità.

E' possibile che ceppi di EBOv infettino l'uomo in Africa, senza causare grave malattia: le ipotesi sul ciclo naturale del virus devono conciliare l'alta sieroprevalenza con i rari casi clinici e con l'alta letalità dei virus africani conosciuti. Una spiegazione plausibile è che il sierogruppo EBO africano presenti varianti antigenicamente cross-reattive, che causano infezioni leggere o subcliniche nell'uomo. Si può ipotizzare, nel caso di EBOv, che la relativamente alta sieroprevalenza potrebbe indicare frequenti contatti dell'uomo con varianti apparentemente non patogene, o per contatto con vertebrati infetti (ex. caccia e macellazione di primati) o con artropodi ematofagi; al contrario il contatto con i ceppi ad alta patogenicità è un evento raro, che indica cicli di trasmissione indipendenti che coinvolgono specie rare o che raramente entrano in contatto con l'uomo; ancora vi possono essere eventi mutazionali nel virus, che conducono ad un fenomeno analogo a quello verificato nel virus dell'Encefalite equina venezuelana, che per mutazione progressiva (stepwise) si è trasformato da virus non patogeno-enzootico (subt. ID) a virus virulento-epizootico (subt. IC), con un differente range di vettori e di ospiti (4).
Gli esempi precedenti rappresentano casi di virus a RNA persistenti che hanno subito il fenomeno di jumping e/o di chattering, e si sono adattati ad essere agenti "acuti" in una nuova specie ospite. Per quanto riguarda i virus a DNA sono stati offerti pochi esempi di jumping, tuttavia la maggior parte delle famiglie di virus a DNA instaura infezioni persistenti. In alcuni casi, come con i papillomavirus, non vi sono esempi di jumping di specie: questi virus hanno alta prevalenza e congruenza filogenetica nei confronti della specie ospite specifica.

Al contrario si conoscono vari Herpesvirus che a volte effettuano il salto di specie. Ad esempio l'Herpes virus B dei primati (CEHV-1), che ha stabilito una infezione inapparente e persistente (fenomeno di latenza virale) nei primati non umani asiatici, per effetto del fenomeno di jumping può causare nell'uomo una meningoencefalite fatale (25). Di contro l'uomo portatore di lesioni labiali attive da Herpes simplex, può diventare un fattore di rischio per i PNU del nuovo mondo, nei quali provoca una infezione letale. CEHV-1 è correlato antigenicamente con Herpes simplex, del quale ha anche il ciclo epidemiologico difasico, con un'infezione latente ed un'infezione attiva: durante il periodo di latenza il virus si insedia nelle cellule nervose, le quali hanno turnover nullo (può essere isolato dai gangli del trigemino), occultandosi al sistema immunitario dell'ospite. In presenza di un fattore scatenante si passa alla fase attiva; in sostanza si ha una situazione infezione persistente/infezione acuta, mediata da fattori esterni (es. stress) (2).

Un altro Herpesvirus, che instaura una infezione persistente (per latenza) nell'elefante asiatico (Elephas maximus), può causare una infezione normalmente letale nell'elefante africano (Loxodonta africana), nel caso in cui le due specie siano mantenute in cattività a stretto contatto. Anche in questo caso può succedere l'evenienza contraria.
Per quanto concerne i Retrovirus, l'esempio più classico è quello relativo ai virus SIV ed HIV. I due virus sono strettamente correlati, sia geneticamente che antigenicamente.
Sebbene possano essere derivati da una unica fonte, la loro storia indica un processo di coevoluzione in specie diverse, iniziato molto tempo fa, che con tutta probabilità ci impedirà di sapere quale dei due è comparso prima. Recenti analisi filogenetiche mostrano che HIV 1 è originato per jumping da un'infezione in apparente e persistente da SIV nello chimpanzee ed in Cercocebus spp., nei quali SIV è geneticamente stabile, prevalente, clinicamente inapparente, perseguendo una strategia di persistenza (25).

La SIDA è un'emergenza ambientale, in quanto le attuali conoscenze sembrano mostrare che HIV (ma anche SIV) si sia reso visibile al mondo in conseguenza di un danno all'ecosistema (es. la costruzione della Kinshasa Highway,che mette in comunicazione la Repubblica democratica del Congo con il Kenia, traversando la foresta pluviale), ed è interessante notare come da un ospite in via di estinzione (Pan troglodytes, Cercocebus) il virus sia passato ad un ospite che non corre questo rischio (2, 4). L'estrema variabilità per mutazione di HIV significa grandi difficoltà nella creazione di presidi vaccinali, ma anche che il virus è destinato a sopravvivere ai mutamenti ecosistemici. Questo ed altri virus emergenti sono i superstiti della devastazione della biosfera tropicale, in quanto in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti dell'ecosistema, se non addirittura prevenirli. Un altro caso interessante, e con ulteriori implicazioni nel campo degli xenotrapianti, è dato dagli Spumavirus (SFV) dei primati non umani (PNU).
Questi retrovirus sono persistenti nei PNU. Ciò è dovuto ad una lunga coabitazione-coevoluzione tra primati e virus, tanto è vero che - anche in questo caso - si può affermare l'esistenza di chatter virale (3, 6, 27). Il provirus latente è ubiquitario nei Cercocebus aethiops naturalmente infetti, ed è stata osservata replicazione virale nella mucosa orale; di conseguenza esso è copiosamente presente nelle secrezioni orali e diffonde facilmente tra i PNU, senza necessità di contatto sessuale o ematico. Per questo motivo si ritiene che l'infezione sia virtualmente presente nella quasi totalità dei primati in cattività. La trasmissione è stata studiata in due pazienti che avevano ricevuto xenotrapianto (fegato di babbuino), i quali presentavano in diversi organi sequenze di SFVbab; oltre a ciò sono stati evidenziati, anche in organi lontani dalla sede di trapianto, virus endogeni del babbuino.

Nell'uomo è stata riscontrata sieropositività persistente per più di venti anni in persone infette esposte professionalmente ai PNU: ricercatori, veterinari, addetti alla cura dei PNU.
Per quanto riguarda gli xenotrapianti, la trasmissione interspecifica di patogeni persistenti nella specie donatrice alla specie ricevente è uno dei nodi cruciali; infatti virus come CeHV, SFV, D-SRV (D-Simian Retrovirus), STLV (Simian T-Lymphotrophic cells Virus), possono essere coinvolti nel problema. Oltre a questi virus esogeni, vi sono da considerare i retrovirus endogeni (ERV), cioè quei virus che possono rappresentare "residui fossili" di retrovirus esogeni e che restano come un residuo incompleto di DNA virale "incastrato" nel genoma dell'ospite. Diversi ERV sono incapaci di causare infezione attiva nell'ospite naturale, ma possono esprimere virus infettanti, alcuni dei quali - come il virus endogeno del babbuino, BaEV - sono xenotropi, cioè abili ad infettare linee celulari di altre specie, come dimostrato sperimentalmente. Tutti i mammiferi "portano" ERV, e di conseguenza anche quelli candidati come donatori di organi. Il babbuino, come già accennato, porta BaEV, il quale è xenotropo e del quale sono state descritte diverse varianti; questo virus è chimerico, in quanto presenta sequenze geniche strettamente correlate con il Retrovirus murino C, in una regione, e con D-SRV in un'altra regione, e ciò depone per fenomeni di ricombinazione nel corso della sua (co)evoluzione. Altri animali oggetto di studi nel campo degli xenotrapianti che portano ERV, sono il suino (PERV) ed il bovino (BERV).

Visto che gli ERV sono presenti nel genoma di tutte le cellule non sono "rimovibili" per cui tutti i prodotti per xenotrapianto potrebbero contenere questo DNA, il quale se trasferito nell'uomo potrebbe esprimere retrovirus infettanti capaci di creare infezione attiva e persistente, con possibilità di ulteriore diffusione interumana e conseguenti possibili problemi di sanità pubblica.
Come si può osservare, gli ERV adottano una strategia di persistenza molto particolare, configurabile come conseguenza di una lunga coesistenza-coevoluzione con la specie ospite.

Da quanto esposto risulta chiaro che la maggior parte delle specie alberga virus persistenti. In questo modo si può prevedere che una perturbazione nelle interazioni ecologiche che aumenti il contatto tra specie in precedenza isolate (intrusione umana in nuovi habitat, disboscamento, stanzializzazione di popolazioni, ma anche introduzione di specie esotiche in nuovi territori) possa incrementare il rischio di esposizione ad agenti persistenti, e la possibilità che questi possano diventare agenti acuti per nuove specie.

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