Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche
Webzine Sanità Pubblica Veterinaria: Numero 65, Aprile 2011 [http://www.spvet.it/] ISSN 1592-1581
Documento reperibile all'indirizzo: http://spvet.it/indice-spv.html#523

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Sezione Narrativa: Voglio ricordare qualche personaggio particolare che ho conosciuto nei primi tempi della mia storia di macellaio

Falocci G.


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Premessa sulla Sezione Narrativa
In questa sezione saranno via via pubblicati i lavori di narrativa che riguardano i temi riportati nel "Manifesto per la Narrativa Biomedica" (Sanità Pubblica Veterinaria, n. 57, Dicembre, GLNB). Saranno privilegiati i racconti che riguardano esperienze di comunicazione scientifica per veterinari, medici, ricercatori, ma anche storie relative ad esperienze personali e professionali legate all'alimento di: pazienti, operatori del sistema agroalimentare, operatori della distribuzione alimentare (riferimento e-mail per collaboratori esterni: redazione-spvet@izsum.it / 075-343207).
In questo numero di SPVet.it vi proponiamo un racconto di Gustavo Falocci, Maestro macellaio ed esperto dell'Università dei Sapori di Perugia. La storia dipinge rapidamente il "mondo" che un garzone di macelleria avrebbe incontrato se si fosse trovato al mattatoio comunale di Perugia intorno agli anni '30 del secolo scorso. Il racconto è veloce, con qualche "licenza narrativa" che ha l'effetto di dare colore a tutta la situazione, restituendoci una atmosfera caratteristica della comunicazione fra persone, come avveniva molto tempo fa nei bar o nelle piazze. Questo testo è "strategico" per mostrare ai consumatori la vita degli operatori della distribuzione alimentare, personaggi poco conosciuti ma con i quali tutti hanno a che fare assai spesso e che rappresentano, in un certo qual modo, le prime sentinelle della qualità e sicurezza alimentare. C'è un mondo lì dietro. Con questa storia Falocci lo fa rivivere, dando una prospettiva umana ai lavoratori del settore carni, anche per dire ai giovani che quella del macellaio è una professione molto antica ed affascinante.

La gente del mattatoio
Al mattatoio di Perugia, che stava in via Pascoli, c'erano molti operatori ed inservienti, dei tipi che con i loro modi di vivere o fare, oggi sarebbero considerati parecchio strani.
Incomincerò da un certo Marsilio detto il Mattaccino o il Porchettaro; un tipo che quando veniva al mattatoio per custodire le sue porchette, si vestiva in un modo davvero particolare: stivali di cuoio, calzoni tutti strappi (da fare invidia a certi ragazzi d'oggi), parannanza fatta con una balla di juta (un sacco per tenere i cereali) legato con degli spaghi, un cappellaccio, insomma il peggio che si possa avere in casa. Con questo abbigliamento strano si sentiva a suo agio.

Tutti lo portavano in giro, lo rimproveravano per il modo come si conciava con quegli stracci addosso, ma il lavoro lo sapeva fare e bene.
Condiva le sue porchette, che poi andava a vendere per le strade messe su un carrettino con una tavola sopra e via così.
In quei tempi non c'erano tutte le leggi che ci sono oggi.

Biribissi
Poi ricordo con affetto un certo Biribissi, un uomo piccolo di statura e magro, molto malandato. Era la barzelletta del mattatoio; tutti a fargli degli scherzi, qualche volta anche pesanti.
Ricordo che una mattina (lui a suo modo dava una mano a tutti) stava nel reparto dove c'era il Gaggia, altro personaggio storico del mattatoio.
Ora, questo Biribissi era come una cavalletta: sempre a girare attorno alle persone che lavoravano, agitandosi senza mai concludere, anzi, spesso faceva perdere tempo ai macellai. Un giorno si accosta al Gaggia (in realtà si chiamava Memmo) e chiede quello che doveva fare. Memmo risponde: "Che sé guercio? N'el vede quil che cè da fe'?" e lui girava, girava, senza concludere. A questo punto il Gaggia tira giù al volo la corda della carrucola dove venivano appesi gli animali da spellare, lo acchiappa per il collo e per la cinta, prende il gancio e glielo infila sotto la pancia legandolo veloce sulla schiena e tira su la corda portandolo vicino al soffitto e dice: "Vojo vede' si da lassù m' de' fastidio". Il poveretto comincia a sgambettare dicendo: "Tirateme giù. Si me se rompe la cintura m'ammazzo!". Sgambetta, sgambetta la cintura si strappa davvero e giù una trippata in terra (avrà pesato quaranta chili). Non si fece male, il peggio fu alzarsi fra le risate di tutti gli operatori.

Con il passare del tempo le sue condizioni di salute però andavano sempre peggio; si era dimagrito tanto, era sempre triste a causa della sua salute che non migliorava.
Mangiava davvero poco, un po' non gli andava, ma certo si trascurava anche perchè la vita era difficile. Vedeva e sentiva che le forze lo abbandonavano.
Ricordo che cercava di riprendersi con il sangue di cavallo. Ogni volta che si macellavano i cavalli lui correva con un bicchiere da vino e ne beveva due o tre a seconda di quanto gliene andava.
Poi ad un certo punto smise anche di bere il sangue, tant'è che nel giro di pochi mesi morì.

Groppino e il Capo-garzone
Ricordo benissimo i fratelli Vincenzo e Gabriele.
Il primo era sempre ben vestito, camicia bianca, cravatta, giacca e cappello. Il secondo sempre malmesso. Quando stavano vicini sembravano il padrone e il garzone.
Vincenzo commerciava pecore e capre ed era detto il Groppino. Era un grande conoscitore di questo bestiame.
Comperava e vendeva gli animali sia vivi che morti. Si dava da fare e perciò conduceva una vita piuttosto agiata. Nello stesso tempo era un giocatore di carte, con degli alti e bassi come succede a chi pratica questo vizio. Ma in linea di massima se la cavava perchè, pur essendo un brav'uomo, era furbo come una volpe.
Gabriele era il garzone; ma un garzone per modo di dire, perché tutti i "movimenti" degli animali, sia vivi che morti, li seguiva lui. Raccoglieva perfino le pelli e andava a steccarle per evitare che le parti tagliate si arricciassero. Le lavorava fino a renderle più lisce possibile. Oltre questo però faceva tutte le mansioni come i garzoni veri. Ma a Gabriele non importava.
Svolgeva anche i lavoretti da poco sempre sorridendo con la sua figura un po' curva, si metteva giù a fare quel che c'era da fare.
Era anche molto più buono di suo fratello, accettava qualsiasi scherzo gli si facesse sempre sorridendo, mai una volta l'ho visto offendersi anche se qualche scherzo era davvero molto pesante.

Per esempio quando venivano eviscerati gli agnelli doveva stare all'erta perchè i garzoni erano sempre in agguato, pronti a tirargli in faccia le trippine. Lui la prendeva in allegria, purché potesse stare con gli operatori del mattatoio.
Durante la pausa per la colazione, era una baldoria. Gabriele cercava di rifarsi degli scherzi ricevuti (a modo suo si vendicava sugli altri), e giù risate. Questa era la vita al mattatoio di quei tempi.

Il grande Gaggia
In ultimo voglio ricordare il Gaggia (Memmo), un uomo burbero di animo buono. Poche parole ma giuste; non era tanto d'accordo quando i giovani facevano gli scherzi pesanti, ma nello stesso tempo diceva: "Cusì m'pareno". Era di statura non molto alta ma tarchiato e muscoloso. Da ragazzo aveva praticato il ciclismo agonistico e raccontava sempre di quando aveva partecipato, arrivando primo, alla la corsa ciclistica "La Ruota d'Oro" che andava da Perugia a Roma e ritorno.
Suo fratello lo aspettava sulla Somma (il valico vicino a Spoleto), per dargli qualcosa da mangiare. Il rifornimento consisteva in una fila di pane con due salsicce secche e via così, sia all'andata che al ritorno.

Memmo, oltre essere un grandissimo lavoratore, era anche un buon mangiatore di tagliatelle fatte in casa, tant'è che sua moglie intrideva sei uova per loro due soli (non avevano figli). Gaggia era talmente preciso che tutti i giorni a mezzogiorno in punto, anche se aveva qualche animale da scuoiare, lo abbandonava per andare a pranzo (abitava in via Lorenzini, vicino al mattatoio).
Quando ritornava era tutto soddisfatto delle tagliatelle che aveva mangiato e si rimetteva a finire il lavoro dove lo aveva lasciato.
Spesso andava in campagna, verso Monte Tezio, a portare a delle famiglie che conosceva pezzi di rifilatura delle carni degli animali che aveva macellato. In cambio gli davano qualche coppia di uova e del vino. Il Gaggia era fatto così.

Un giorno incontrando un amico del mattatoio si parlava del più e del meno, quando lui mi disse se sapevo del Gaggia. Risposi di no, e lui "Non lo sai? È ricoverato al Grocco. Poveraccio". Sono andato subito a trovarlo. Mentre salivo le scale ho notato, sul pianerottolo in cima, uno in carrozzella con vicino l'inserviente. Domando a lui della persona che cercavo, ma appena pronunciato il nome, l'uomo sulla sedia a rotelle alza la testa e si volta verso di me dicendo: "O Forca! Com'è ste'?".
Era il Gaggia. Mi metto a parlare con lui che comincia a dire un po' della sua storia. In breve; la moglie era morta, lui era rimasto solo e, alla fine, i nipoti l'avevano messo li.
Nel frattempo passa un altro inserviente; lui si gira mormorando una frase che ben conoscevo: "Tant' te sguasto". Gli chiedo: "Memmo, ma che v'ha fatto?". La risposta oscura e minacciosa fu: "Lu 'l sa".
A questo punto l'uomo della carrozzella mi chiamò da una parte e mi disse: "Ma quest'uomo è matto?", "Perché?" Rispondo io. Il portantino, sempre facendo attenzione a non farsi sentire dagli altri, mi disse: "Qualche giorno fa mi aveva chiamato per fargli una cosa. Io ero occupato e ho tardato un pochino. Quando sono arrivato mi ha preso su come un fuscello sollevandomi da terra e mi ha detto "Te sguasto".
Gli raccontai chi era quell'uomo e come una volta, al mattatoio, aveva abbattuto un piccolo animale con un solo pugno. Dopo che ebbi finito di dire, mi sembrò che l'inserviente lo guardasse con molto più rispetto e, credo, anche un po' di timore.
L'incontro all'ospedale è avvenuto nove mesi prima che il mio vecchio compagno di lavoro morisse, all'età di novantasei anni.
Questo era Memmo T., detto il Gaggia. Io sono orgoglioso di essergli stato amico.


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