Webzine Sanità Pubblica Veterinaria

Numero 23 - febbraio 2004 - http://spvet.it
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Antonio Ruina

Etichettatura, presentazione e pubblicizzazione dei prodotti alimentari


Antonio Ruina



Il Ministero delle attività produttive ha recentemente emanato la circolare n. 168 del 10 novembre 2003 con la quale ha inteso chiarirne la portata di norme,in merito, di particolare rilievo e fornire informazioni per una corretta ed uniforme loro applicazione sia da parte delle imprese sia da parte degli organi di vigilanza.

Sulla scia di quanto gia' fatto in precedenti occasioni,il ministero ha risposto ai chiarimenti richiesti da più parti; quelli di interesse dei servizi veterinari sono i seguenti:

A) Somministrazione della croissanterie.
L'esigenza di avere un'ampia tipologia di prodotti, freschi e fragranti, quali croissant, krapfen, sfogliatine, strudel e simili, ha indotto l'industria a preparare prodotti a temperatura controllata destinati, con appositi fornetti, senza alcuna manipolazione, che integri una attivita' produttiva, ad essere somministrati sul punto di vendita. I prodotti in questione non sono semilavorati o preparazioni alimentari, ma sono prodotti finiti, in quanto, come detto, non necessitano di manipolazione o ulteriore lavorazione, per essere somministrati.

Questo Ministero ha gia' precisato in precedenti occasioni che, tenendo conto della evoluzione delle modalita' di prestazione del servizio di somministrazione, tale attivita' e' del tutto compatibile con l'attivita' di somministrazione, di cui all'art. 5, lettera b), della legge n. 287/1991.

Qualora si volesse attribuire a tale attivita' un diverso significato, si correrebbe il rischio di offrire un cattivo servizio al consumatore, le cui esigenze devono sempre essere considerate prioritarie, senza creare inutili ostacoli alla commercializzazione, soprattutto quando non e' messo in discussione il rispetto delle norme igienico-sanitarie.

Nulla vieta, pertanto, di ricondurre nella specifica autorizzazione sanitaria rilasciata al pubblico esercizio l'attivita' di cui sopra, alla stregua di quanto avviene per il pane parzialmente cotto surgelato o meno. Si tratta di situazione analoga.
Il legislatore, peraltro, nel caso del pane, e' dovuto intervenire, perche' v'era il problema della denominazione di vendita che non consentiva di denominare "pane" il prodotto parzialmente cotto: situazione che non si presenta nel caso specifico della croissanterie.

B) Vendita dei prodotti congelati.
Da qualche tempo si osserva che, in alcune superfici della grande distribuzione, nei banchi di vendita dei prodotti surgelati sono immessi anche prodotti congelati non confezionati, esposti con gli estremi dell'azienda produttrice, che spesso incorpora nel proprio nome la parola "surgelati", anche se poi sulle singole etichette o nei depliants a disposizione del pubblico compare l'indicazione che si tratta di prodotti congelati.

Questo modo di operare, oltre ad essere ingannevole per il consumatore, rappresenta anche una forma di slealta' commerciale.
Si invitano, pertanto, gli organi di vigilanza a verificare che, per i prodotti congelati venduti sfusi, siano fornite adeguate informazioni al consumatore, in conformita' a quanto previsto dall'art. 16 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, come modificato dall'art. 13 del decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 181, il quale stabilisce che detti prodotti devono essere muniti di apposito cartello, applicato ai recipienti che li contengono oppure applicato nei comparti in cui sono esposti.

Sul cartello devono figurare:

1) la denominazione di vendita, accompagnata dal termine "congelato", senza che compaia, a qualsiasi titolo, il termine "surgelato/i";

2) le modalita' di conservazione dopo l'acquisto;

3) la percentuale di glassatura per i prodotti glassati.

I banchi ed i prodotti in essi contenuti, infine, vanno adeguatamente protetti e vanno rispettate le norme igieniche di cui al decreto legislativo n. 155 del 26 maggio 1997 (attuazione della direttiva 93/43/CE sull'igiene).

C) Utilizzazione delle uova fresche.
I regolamenti (CEE) 1907/90 e 1274/91 fissano le norme per la commercializzazione delle uova vendute in guscio tal quali.
Ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 1274/1991 le uova di categoria A o "uova fresche" devono possedere determinate caratteristiche tra cui quella di non aver subito alcun trattamento di conservazione.

Dal momento che le uova utilizzate nei prodotti trasformati, indipendentemente dalla categoria di riferimento, devono essere pastorizzate, la sola menzione "uova fresche" potrebbe sembrare non corretta.

Al riguardo è da precisare che la pastorizzazione delle uova fresche in questo caso e' richiesta dal decreto legislativo n. 65/1993 relativo agli ovoprodotti (art. 3, lettera e) non come trattamento di conservazione ma come esigenza di ordine igienico-sanitario obbligatoria.

Pertanto, ai fini della qualificazione dei prodotti finiti preparati con l'impiego di uova fresche (categoria a) e per garantire un'idonea informazione del consumatore, si ritiene che gli ovoprodotti ottenuti esclusivamente da uova fresche di gallina vadano distinti da quelli ottenuti da uova di gallina di categoria diversa dalla categoria A, attraverso l'etichettatura. Si suggerisce, pertanto, che le uova fresche, come sopra descritte, siano designate nell'elenco degli ingredienti dei prodotti finiti trasformati con la menzione "uova fresche" e le altre come "uova".

Tale soluzione e' da ritenersi conforme a quanto previsto all'art. 5, comma 13, del decreto legislativo n. 109/1992.

Se cio' non fosse, non vi sarebbe neppure la necessità di utilizzare le uova fresche, con conseguenti ingenti danni alla relativa produzione agricola.
Si precisa infine che il divieto del trattamento della pastorizzazione a scopo conservativo per le uova fresche, previsto dalla normativa comunitaria, riguarda solo il prodotto in guscio venduto tal quale.

D) Prodotti artigianali.
Nella commercializzazione di taluni prodotti artigianali, quali le paste alimentari di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001, talvolta viene fatto con una certa enfasi riferimento alla "produzione artigianale", come se si trattasse di una garanzia di qualita' organolettica, nutritiva o sanitaria superiore.

L'uso di diciture quali "lavorato a mano" e simili e' ingannevole quando soltanto alcune fasi secondarie e collaterali della produzione sono effettuate a mano.
Nel comparto delle paste alimentari, ad esempio, le diciture "lavorato a mano" e simili potranno essere apposte unicamente qualora le fasi di impasto, trafilatura, taglio ed essiccazione della pasta siano state effettuate in tutto o per la maggior parte a mano e non anche quando la manualita' abbia riguardato unicamente fasi secondarie come lo svuotamento dei sacchi di semola, il riempimento delle tramogge, il dosaggio degli ingredienti o il confezionamento. Inoltre, sempre piu' spesso, viene fatto riferimento al tenore proteico e al contenuto in glutine sia delle materie prime che del prodotto finito. Questi messaggi devono essere idoneamente dimostrati e comportano la realizzazione dell'etichetta nutrizionale, in quanto viene fornita una informazione su un elemento fondamentale dell'etichettatura nutrizionale disciplinata dal decreto legislativo n. 77/1996: la quantita' di proteine.

E' vero che l'uso di diciture concernenti le caratteristiche del metodo di produzione costituisce una garanzia fornita al consumatore sul metodo, ma non si traduce, di regola, anche in un aumento della qualita' del prodotto finito in termini di caratteristiche ingredientistiche, nutrizionali, chimico-fisiche, organolettiche ed igienico-sanitarie.

Delle metodologie artigianali viene fornito un elenco, non esaustivo ma di rilievo, nella pronuncia n. 8884 del 9 novembre 2000 dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, che si puo' cosi' riassumere: la presenza di una struttura organizzativa tipicamente artigianale e/o familiare e' caratterizzata dal basso numero di addetti e soprattutto dall'incidenza dell'apporto umano e personale nella produzione.
Questo aspetto concerne, ovviamente ed unicamente, le caratteristiche dell'azienda.
Pertanto non puo' in alcun modo essere utilizzato per presentare i prodotti come superiori nella qualita'. L'azienda artigianale non puo' cioe' trasformare la sua qualifica giuridica in un elemento di qualita' dei prodotti finiti.

In tale contesto non si puo' non tener conto anche di quanto previsto dal decreto legislativo n. 74/1992 che, anche se di portata generale, vieta ogni forma di pubblicita' subliminale e subordina l'uso dei termini "garantito e garanzia" e simili, quali "selezionato e scelto", alla precisazione in etichetta del contenuto e delle modalita' della garanzia offerta.

E) Paste speciali.
Sono stati chiesti piu' volte chiarimenti circa i limiti di riferimento per le ceneri, l'acidita' e gli altri parametri analitici, di cui all'art. 6, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001, per la produzione di paste speciali, sia secche, sia fresche, sia stabilizzate.

Tale problema e' stato affrontato piu' volte anche nel corso dell'elaborazione del decreto n. 187/2001, dove non si e' ravvisata la necessita' di apportare specifiche precisazioni, essendo la norma gia' chiara.
Infatti, mentre per la pasta di semola di grano duro (semola+acqua), il limite massimo di ceneri e' 0,90 su cento parti di sostanza secca, per i casi di presenza di altre sostanze oltre alla semola, come le uova della pasta all'uovo, il legislatore ha conseguentemente provveduto ad adeguare il limite di ceneri, fissandolo a 1,10 per la pasta con quattro uova per chilogrammo di semola ed ammettendo un ulteriore incremento di 0,05 per ogni uovo in piu' rispetto al minimo prescritto.

Quando all'impasto vengono miscelati altri ingredienti alimentari, allo scopo di ottenere una pasta "speciale", secca, fresca o stabilizzata, i parametri previsti all'art. 6, comma 3, non dovranno essere applicati al nuovo prodotto finito, bensi' esclusivamente alla materia prima di base impiegata.

Nella valutazione del tenore delle ceneri e degli altri parametri analitici si dovra' tener conto sia del contributo apportato dalla materia prima di riferimento impiegata, sia dell'effetto esercitato sul parametro analitico finale dall'ingrediente/i aggiunto/i.
Ad esempio, nel caso delle ceneri di un pasta di semola di grano duro con spinaci, e' errato non sottrarre il contributo delle ceneri apportate dagli spinaci a quello rilevato sul prodotto finito.
Si deve altresi' fare riferimento, per definire il contributo portato dagli spinaci, alla quantita' impiegata in ricetta, al loro contenuto medio di ceneri e relativa variabilita' naturale.

Pertanto, in fase di accertamento analitico, i valori delle ceneri, dell'acidita' e degli altri parametri apportati dagli ingredienti alimentari a quelli apportati dalle materie prime di base vanno scorporati dal computo globale; la quantita' di tali ingredienti, poi, e' facilmente rilevabile sulla base della loro dichiarazione quantitativa in etichetta, ai sensi dell'art. 8 del decreto legislativo n. 109/1992 o meglio ancora analizzando la ricetta all'origine.

F) Etichettatura delle carni, quali ingredienti.
Con la circolare n. 165 del 31 marzo 2000 furono dettate regole dettagliate circa l'applicazione dell'art. 8 del decreto legislativo n. 109/1992.
La direttiva 101/2001/CE attuata con l'art. 15 del decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 181, ha posto altri problemi connessi con la definizione di carne. Si ritiene pertanto utile, dopo una attenta disamina dei diversi aspetti relativi ai prodotti piu' significativi esistenti sul mercato, fornire taluni chiarimenti al riguardo.

La norma in parola si applica a tutti i prodotti alimentari contenenti carne, in quanto ingrediente, siano essi preconfezionati o meno. Essa non si applica alle carni commercializzate tal quali.
Per carne si intende la carne muscolare scheletrica dell'animale compresa la quantita' massima di grasso e di tessuto connettivo prescritti, naturalmente aderenti alle masse muscolari scheletriche. Le carni di qualsiasi specie vanno designate col nome specifico previsto dalla normativa comunitaria o, in mancanza, da usi e consuetudini nazionali. In luogo del nome specifico puo' essere usato il nome della categoria: "carne di" seguito dal nome della specie. Di conseguenza non e' piu' consentito utilizzare, come in passato, il solo termine relativo alla specie, quale "bovino", "suino", essendo stato soppresso il comma 10 dell'art. 5 del decreto n. 109/1992.

Le altre parti dell'animale, escluse dalla definizione di "muscoli scheletrici", sono etichettate con il loro nome specifico di uso comune. Questi nomi specifici, se non sono legati a specie animali individuate, devono essere completate con il nome della specie animale da cui provengono. Esempio: la cotenna e' solo di suino e non di altri animali, per cui il prodotto puo' essere designato col nome "cotenna" in luogo di "cotenna suina". La tabella seguente riporta l'indicazione da utilizzare, ad esempio, per le parti di suino che non rientrano nella definizione di "muscoli scheletrici" il cui impiego risulta possibile in alcune ricette tradizionali:

Parti Designazione
Grasso (eccedente i limiti prescritti) Grasso suino
Cotenna (eccedente i limiti prescritti) Cotenna
Trippino Trippino suino
Magro di testa (diverso dal massetere) Magro suino di testa


I limiti di grasso e di tessuto connettivo contenuti nella tabella dell'art. 15 del decreto n. 181/2003, si intendono riferiti ad ogni specie separatamente. In un prodotto, ad esempio, costituito da carne bovina e carne suina, detti limiti sono, per il grasso, 30% per la carne suina e 25% per la carne bovina.

Le parti anatomiche dell'animale, quali coscia suina e pancetta suina, designate con il loro nome, non soggiacciono ai limiti di grasso e di tessuto connettivo prescritti.
Esse non vanno accompagnate da qualificazioni, suscettibili di trarre in errore il consumatore sulla effettiva natura del prodotto e di creare concorrenza sleale, quale il termine "fresco", salvo il caso di specifica previsione in una norma comunitaria.

La carne meccanicamente separata deve essere designata come tale, completata dal nome della specie animale.
Esempio: carne di pollo separata meccanicamente, carne suina separata meccanicamente.
I limiti di grasso e di tessuto connettivo sono basati su analisi e calcolati a livello di messa in opera. Non si tiene conto del budello o dell'involucro che sono elementi estranei all'impasto.
Per il calcolo si prendono in considerazione il contenuto percentuale di "proteina di carne", "collagene" e "grasso" di ogni specie animale separatamente. Tali contenuti, tutti identificati al momento della messa in opera, si basano su uno dei seguenti dati/analisi:

a) dati di composizione generalmente accettati relativi alle sole parti dell'animale rientranti nella definizione di carne;
b) analisi rappresentative relative solamente alle specifiche parti dell'animale rientranti nella definizione di carne;
c) analisi rappresentative di miscele relative solamente a quelle parti dell'animale rientranti nella definizione di carne.

Tali dati ed analisi devono escludere a priori la possibile presenza di sostanze non rientranti nella definizione di carne, quali fegato e cuore, proteine vegetali, additivi ed aromi.

Per quanto riguarda, infine, l'obbligo di indicare la percentuale di carne utilizzata nella preparazione di prodotti composti, essa e' prescritta solo per i prodotti preconfezionati destinati tal quali al consumatore.
Tale obbligo non si applica ai prodotti costituiti essenzialmente da carne a condizione che la quantita' di acqua aggiunta non superi nel prodotto finito il 5% e non contengano sostanze diverse da quelle tecnologiche (sale, aromi, additivi).

E' fatta salva comunque la facolta' dell'impresa di indicare, per una migliore informazione del consumatore, la percentuale di carne utilizzata anche nei casi in cui non ve ne sia l'obbligo.

I controlli, come gia' ribadito nella precedente circolare n. 165, finalizzati all'accertamento della quantita' di carne e dei limiti di grasso e di connettivo vanno effettuati ovviamente all'origine. Il controllo sul prodotto prelevato nelle fasi commerciali non puo' essere preso a riferimento per valutarne la conformita', in quanto, ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo n. 109/1992, occorre riferirsi al momento della utilizzazione degli ingredienti.

Allo scopo poi di assicurare comportamenti omogenei nella commercializzazione di taluni prodotti particolarmente diffusi si forniscono delle linee guide che integrano quelle riportate nella circolare n. 165 del 31 marzo 2000:

1) cotechino e zampone "puro suino" sono prodotti di solo suino.
La dicitura "puro suino", peraltro non obbligatoria, evidenzia solo che le carni utilizzate nella preparazione del prodotto sono solo di suino.
Ai fini della determinazione dell'ordine ponderale decrescente nell'elenco degli ingredienti, il tenore di carne va conseguentemente ridotto quando grasso e connettivo sono superiori ai limiti prescritti.

Esempio di zampone costituito da carne avente 35% di grasso e 30% di cotenna. L'elenco degli ingredienti e il seguente: carne suina, cotenna, grasso suino, aromi.
Esempio di cotechino costituito da carne avente 30% di grasso, 20% di cotenna e 20% di magro di testa (diverso dal massetere). L'elenco degli ingredienti e' il seguente: carne suina, magro suino di testa, aromi.
Non e' richiesta l'indicazione di grasso e di cotenna, in quanto sono entro i limiti massimi prescritti per la non indicazione.
Si evidenzia che, in entrambi i casi, l'elenco degli ingredienti va completato con l'indicazione delle sostanze tecnologiche eventualmente utilizzate e che la cotenna puo' non essere seguita dal termine "suino", giacche' essa e' solo di suino.

2) Prosciutto cotto.
Si tratta di prodotto, costituito da carni, acqua e sostanze tecnologiche.
Nel caso di prodotto con una quantita' d'acqua aggiunta entro il limite del 5% nel prodotto finito, non si procede a quantificazione della carne.
Qualora la quantita' d'acqua aggiunta superi nel prodotto finito il 5%, occorre indicare l'acqua nell'elenco degli ingredienti e quantificare la carne suina, ai sensi dell'art. 8 del decreto n. 109/1992.

3) Mortadella puro suino.
Il riferimento al suino e' fatto solo per indicare l'utilizzazione di un solo tipo di carne, quella suina.
Come nel caso di zampone e cotechino non v'e' l'obbligo dell'indicazione percentuale di carne anche in presenza di eventuale aggiunta di grasso suino e/o di cotenna e/o di trippino. Il grasso ed il connettivo, se superano i limiti prescritti, vanno indicati nell'elenco degli ingredienti della mortadella senza indicazione percentuale della carne.

Le parti anatomiche dell'animale, che non sono considerate carne ai sensi dell'art. 15 del decreto legislativo, vanno indicate col loro nome specifico nell'elenco degli ingredienti della mortadella.
In taluni casi viene posto in evidenza una parte anatomica dell'animale per valorizzare il prodotto: mortadella di fegato oppure mortadella con fegato. Trattandosi di un ingrediente non considerato carne, ma caratterizzante per il prodotto, il fegato va quantificato, come nell'esempio seguente: ingredienti: carne suina, fegato suino 30%, grasso suino, trippino suino, aromi.
Nel caso, poi, di prodotti ottenuti da carni di piu' specie, le relative specie vanno tutte quantificate in percentuale.

4) Wurstel. Si tratta di prodotto ottenuto utilizzando anche acqua, aromi ed altre parti anatomiche. I principi cui ispirarsi per l'etichettatura sono gli stessi indicati per altri prodotti carnei.

Esempi:

a) Wurstel costituito da 60% di carne suina, 30% di acqua, 8% di aromi, .... ha il seguente elenco di ingredienti: carne suina 60%, acqua, aromi, ...., se i limiti di grasso e di connettivo sono quelli prescritti.
La quantificazione percentuale della carne e' richiesta perche' v'e' una quantita' d'acqua aggiunta superiore a 5%.

b) Wurstel costituito da carne suina 90%, acqua 5%, aromi, e' un prodotto costituito essenzialmente da carne. La carne puo' non essere quantificata e l'acqua, non superando il 5% del prodotto finito, non viene indicata nell'elenco degli ingredienti.
L'elenco degli ingredienti e', quindi, il seguente: carne suina, aromi;

c) "Wurstel di pollo": identifica un prodotto ottenuto da carne di pollo, generalmente meccanicamente separata. Tale carne non e' considerata carne ai fini dell'etichettatura e deve essere designata con la dicitura "carne di pollo separata meccanicamente".
Essa non risponde, ovviamente, ai limiti di grasso e di connettivo previsti per le carni avicole. La pelle ed altre parti dell'animale composte di grasso e di connettivo rientrano nell'unica voce "carni di ...... separate meccanicamente".
Lo stesso vale per le altre carni avicole quale quelle di tacchino e di anatra.
Un esempio di elenco degli ingredienti puo' essere: carne di tacchino meccanicamente separata 80%, acqua, aromi, ...... Qualora la quantita' di carne sia piu' elevata e l'acqua aggiunta non superi il 5%, l'elenco degli ingredienti puo' essere: carne di tacchino separata meccanicamente, aromi, .....

Nel caso di miscele, poi, le specie vanno quantificate: carne di pollo separata meccanicamente 50%, carne di tacchino separata meccanicamente 40%, ....
Per evitare di ripetere ogni volta la dicitura "meccanicamente separata", la cui indicazione occuperebbe inutilmente molto spazio in etichetta, non si ravvisano problemi a inserire dopo "carne di pollo" e "carne di tacchino" un asterisco e riportare in fondo alla lista degli ingredienti la detta dicitura accanto all'asterisco.
Modalita' questa gia' prevista da alcune regolamentazioni comunitarie specifiche.

5) Strutto.
Lo strutto, generalmente e' un monoingrediente, per cui non porta l'elenco degli ingredienti.
Viceversa lo stesso, se ha subito aggiunte, nell'elenco degli ingredienti puo' essere designato con la voce "grasso suino" ma nulla osta a designarlo come strutto.

6) Ciccioli, cigoli e simili.
I ciccioli e simili sono prodotti proteici ottenuti dalla fusione di tessuto adiposo del suino.
Possono contenere anche una parte di carne, che non e' ingrediente.
Conseguentemente l'elenco degli ingredienti puo' essere diverso a seconda della sua presentazione e cioe':
a) nessun elenco di ingredienti, se il prodotto e' ottenuto senza aggiunte;
b) ingredienti: grasso suino, aromi, sale;
c) ingredienti: ciccioli, aromi, sale.

Importante e' che il messaggio sia formulato in termini chiari, senza trarre in errore il consumatore sulla corretta composizione del prodotto.

7) Pancetta cubettata e prodotti simili.
Si tratta di prodotto suino in pezzi, che mantiene comunque la sua riconoscibilita'. Il riferimento al taglio anatomico puo' essere, pertanto, effettuato nell'elenco degli ingredienti con la voce "pancetta suina".

G) Prodotti venduti sfusi.
L'art. 16 del decreto n. 109/1992, nel testo originario, prevedeva per i prodotti preincartati l'uso del cartello con un limitato numero di indicazioni obbligatorie.
Nell'attivita' di vigilanza sono stati seguiti comportamenti non sempre coerenti, contestando la mancata indicazione di altre diciture che la norma non prescriveva espressamente, quale la data di scadenza.
Nel concetto di prodotto preincartato rientrava, secondo la definizione data all'art. 1, qualsiasi operazione di incarto e di preconfezionamento sul luogo di vendita, cosi' come previsto dalla direttiva n. 79/112 all'art. 12 (art. 14 della direttiva 2000/13) per le quali gli Stati membri potevano prevedere regole meno severe.

Per superare le difficolta' sorte, soprattutto a seguito della recente sentenza della Corte di cassazione, il comma 1 dell'art. 16 del decreto n. 109/1992 e' stato modificato attraverso l'indicazione dettagliata dei casi in cui si applicano le disposizioni di tale articolo, tra cui figurano "i prodotti preconfezionati destinati alla vendita immediata" nell'esercizio ove sono stati preparati. Si tratta di preimballaggi a tutti gli effetti, ma con la peculiarita' della destinazione alla vendita immediata, assimilati, quindi, ai prodotti sfusi.

Relativamente alla dicitura "vendita immediata", si precisa che essa significa "vendita a libero servizio" senza la presenza di un addetto.
Si richiama l'attenzione, al riguardo, sull'obbligo dell'indicazione della data di scadenza, che - giova ribadire - deve figurare, con la dicitura "da consumarsi entro" seguita dalla data stessa, solamente sulle paste fresche (categoria nella quale non sono comprese le paste stabilizzate). Gli altri prodotti ne sono esenti.

H) Formaggi freschi a pasta filata.
Come e' noto i formaggi freschi a pasta filata destinati al consumatore devono essere posti in vendita preconfezionati, cosi' come precisato dall'art. 23 del decreto legislativo n. 109/1992. Il preconfezionamento deve essere effettuato all'origine direttamente dal produttore.
Al venditore al dettaglio, salvo nel caso di vendita diretta nel caseificio, non e' concesso di vendere allo stato sfuso o previo ulteriore preconfezionamento ai fini della vendita immediata, ricorrendo ad artifizi, quale l'aggiunta di un po' d'olio d'oliva e/o qualche oliva.
E' ben nota e tradizionale l'aggiunta di ingredienti non lattieri ai formaggi, ad esempio spezie, erbe, noci, olive e simili, e detta aggiunta non e' tale da modificare la natura merceologica del formaggio fresco a pasta filata.

Perche' detto formaggio possa essere venduto non preconfezionato deve essere ingrediente di una preparazione gastronomica, al di fuori del campo di applicazione dell'art. 23 del decreto legislativo n. 109/1992; e' necessario, quindi, che il formaggio sia lavorato in maniera sostanziale ed il prodotto finito sia posto in vendita con una diversa specifica denominazione di vendita, che deve essere utilizzata anche dal dettagliante.

Anche in precedenti occasioni questo Ministero ha precisato espressamente che la vendita allo stato sfuso di detti formaggi, salvo che nei caseifici, e' vietata e che sui relativi involucri devono figurare tutte le indicazioni obbligatorie prescritte nel decreto legislativo n. 109/1992, salvo quella della quantita' netta per il formaggio pesato su richiesta e alla presenza dell'acquirente. Gli organi di vigilanza sono invitati ad applicare, per le violazioni rilevate, le sanzioni amministrative previste dall'art. 18 del citato decreto n. 109/1992.

I) Peso/Peso netto.
L'art. 9, comma 3, del decreto legislativo n. 109/1992 prescrive che la quantita' dei prodotti alimentari preconfezionati, per i prodotti diversi da quelli liquidi, debba essere espressa in unita' di massa.

Viene segnalato che, in taluni Paesi dell'Unione europea, e' richiesto di far precedere l'indicazione della quantita' dalla dicitura "Peso netto" per i prodotti diversi da quelli liquidi e viene richiesto anche di conoscere se tale indicazione e' effettivamente obbligatoria.
Al riguardo va anzitutto precisato che, nella vigenza della normativa nazionale anteriore a quella comunitaria, almeno in Italia si era creata l'usanza di indicare la quantita' netta per i prodotti liquidi, senza aggiunta della dicitura "volume netto", e di indicare per gli altri prodotti la dicitura "peso netto" e simili prima della indicazione della quantita'. Nessuna norma ha mai prescritto regole al riguardo neppure il decreto legislativo n. 109/1992.

Sulle modalita' di indicazione la direttiva 2000/13/CE, ma anche le precedenti, hanno solo precisato all'art. 8, paragrafo 2 a), che qualunque sia il tipo di quantita' riportato in etichetta (nominale, netta, media, meccanicamente determinata e simili), tale quantita' e' la quantita' netta ai sensi della direttiva.

Il decreto legislativo n. 109/1992, come anche le norme metrologiche, nulla hanno prescritto circa l'obbligo di indicazione della dicitura "peso netto".
La dicitura "peso netto", pertanto, e' da ritenersi non obbligatoria, ma la sua indicazione non e' vietata.

. L) Prodotti con edulcoranti.
L'allegato VIII del decreto del Ministro della sanita' n. 209/1996 elenca gli edulcoranti che possono essere utilizzati nella fabbricazione di taluni prodotti alimentari, indicando casi e dosi d'impiego.
Per quanto riguarda i casi d'impiego vengono indicate le categorie merceologiche e non i singoli prodotti con le relative denominazioni di vendita.
Vi rientrano i prodotti di cioccolato, i succhi e nettari di frutta, le confetture, le gelatine di frutta, le marmellate e la crema di marroni nonche' altri prodotti.

Le denominazioni di vendita di questi prodotti rimangono inalterate con la sostituzione totale o parziale degli zuccheri ma devono essere accompagnate dalla dicitura "con edulcorante (i)" oppure " con zucchero (i) ed edulcorante (i)" a seconda che si tratti di sostituzione totale o parziale dello zucchero, inteso come il complesso dei mono-disaccaridi, secondo quanto previsto dalle disposizioni di etichettatura di cui all'allegato 2, sezione II del decreto legislativo n. 109/1992 e successive modificazioni:

Esempio di prodotto di cioccolato con sostituzione totale di zucchero:
cioccolato fondente con edulcorante;

Esempio di prodotto di cioccolato con sostituzione parziale di zucchero:
cioccolato al latte con zucchero ed edulcorante.

Con questa circolare molti dei dubbi interpretativi di norme precedenti dovrebbero essere sufficientemente chiariti.

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