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Numero 26 ottobre/novembre 2004 - http://www.izsum.it/webzine.html

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La Direttiva in materia di collaborazioni coordinate e continuative alla luce della circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 4/2004

Presupposti e limiti alla stipula dei contratti; regime fiscale e previdenziale; autonomia contrattuale.

La Direttiva è stata redatta dal Dottor C. Castrucci


Premessa

In considerazione del fatto che la materia trattata in questo articolo è di utilità generale, pubblichiamo la presente nota derivante dalla informativa inviata dalla Direziolne aziendale dell'Istituto ai Dirigenti sulla disciplina dei rapporti di Colaborazione Coordinata e Continuativa, anche in relazione alla circolare numero 4 del 2004 emanata dal Dipartimento della Funzione Pubblica.

La circolare del Ministero della Funzione Pubblica
Il Ministro della Funzione Pubblica ha emanato una circolare in materia di collaborazioni coordinate e continuative che ha lo scopo di fornire alle Amministrazioni uno strumento utile a definire gli ambiti ed i limiti entro i quali deve muoversi la scelta di affidare incarichi a collaboratori esterni, con particolare attenzione alla necessità che sia sempre verificata l'esistenza dei presupposti che la legittimano. La citata direttiva è stata inviata all'Ispettorato per la funzione pubblica, al quale è demandata dall'ordinamento vigente l'attività di vigilanza e verifica della conformità dell'azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon andamento, nonché dell'osservanza delle disposizioni vigenti sul controllo dei costi, dei rendimenti e dei risultati, ai sensi dell'art. 13, comma 1, del decreto ministeriale 30 dicembre 2002, recante: "Organizzazione interna del Dipartimento della funzione pubblica".

Considerata l'attuale organizzazione del lavoro ed il numero apprezzabile di collaboratori operanti all'interno dell'Istituto, appare utile fornire gli opportuni chiarimenti ed impartire le necessarie direttive per il corretto e legittimo impiego degli stessi.
Nell'ambito del processo di assimilazione della pubblica amministrazione all'impresa privata, realizzatosi nel corso degli ultimi anni, si è concretizzata l'attribuzione alla dirigenza della p.a. di prerogative tipiche del privato datore di lavoro anche nella gestione delle risorse umane; ciò ha significato, da un lato, l'assunzione di responsabilità in ordine all'organizzazione degli uffici e alla gestione dei rapporti di lavoro da parte della Dirigenza e, dall'altro, la possibilità di ricorrere a tipologie lavorative c.d. flessibili, quali le collaborazioni ex articolo 2222 del Codice Civile, che permettessero di rispondere agilmente a bisogni qualificati e temporanei senza per questo dover aumentare il numero del personale stabilmente in servizio.
In ordine alla concreta attivazione di tali contratti, si pongono per l'amministrazione diversi problemi, concernenti essenzialmente:
È importante a questo punto ricordare come la recente riforma del mercato del lavoro, attuata con il D.lgs. 276/2003, ha introdotto la nuova fattispecie contrattuale del lavoro a progetto, con il dichiarato fine di porre rimedio alle distorsioni create da un uso abnorme delle collaborazioni coordinate e continuative e di accrescere nel contempo le tutele dei lavoratori, soprattutto in materia di malattie e gravidanza. A norma dell'articolo 61, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa.
Quest'ultima norma è sufficientemente chiara nell'agganciare l'utilizzo di tale tipologia di prestazione al contesto organizzativo delle aziende; le stesse pubbliche amministrazioni sono orientate, nello svolgimento delle loro attività, da logiche programmatorie e, pertanto, anche per esse l'utilizzo delle collaborazioni dovrebbe naturalmente inserirsi nell'ambito degli indirizzi politico-amministrativi e nella definizione degli obiettivi strategici ed operativi derivati. Ciò si traduce, in sostanza, nella necessità che la motivazione che legittima il ricorso alla collaborazione faccia riferimento comunque a progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso.
Detto che il secondo comma dell'articolo 1 del decreto citato prevede la non applicabilità dello stesso alle pubbliche amministrazioni, va considerato anche che l'articolo 86, comma 8, stabilisce che il Ministro per la funzione pubblica convoca le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del presente decreto legislativo entro sei mesi anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti legislativi in materia, lasciando pertanto intravedere, in prospettiva, novità nel senso indicato dal decreto anche nel pubblico impiego.

I presupposti legittimanti
Fatta questa breve parentesi, è evidente che la prima questione che si pone per l'amministrazione, che vuole avvalersi di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, è la necessaria verifica dell'esistenza dei presupposti legittimanti il ricorso a tale tipologia contrattuale. L'articolo 7, comma 6, del D.lgs. 165/2001 prevede che le p.a. possano ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo. È evidente che l'elemento dell'autonomia dovrà essere qualificante, per non incorrere nella violazione dei principi costituzionali dell'accesso al pubblico impiego tramite concorso e, più in generale, del principio di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa; in particolare, va evitato che tali incarichi si traducano in forme atipiche di assunzione, a scapito della normativa sul reclutamento e, non ultimo, sul contenimento della spesa.

Altro limite, sottolineato in varie pronunce della Corte dei Conti, è rappresentato dalla circostanza che l'attivazione di collaborazioni può avvenire solo nell'ipotesi in cui l'amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno, da cui deriva pertanto l'impossibilità di affidare, mediante tali rapporti, i medesimi compiti che sono svolti dai dipendenti (col rischio di realizzare una duplicazione delle funzioni ed un aggravio di costi). Dalle maggiori delle pronunce citate è agevole riassumere le condizioni necessarie per il conferimento degli incarichi:
Tali condizioni, che devono risultare anche dal contratto individuale, dovranno tutte ricorrere affinché l'incarico possa essere considerato conferito lecitamente e per non incorrere nell'ipotesi del danno erariale.

Il contratto individuale
Nel contratto individuale dovranno essere ovviamente determinati l'oggetto della prestazione e la durata della collaborazione. In particolare, questa sarà commisurata all'oggetto della prestazione, ed una sua eventuale "proroga" è ammissibile solo in quanto funzionale al raggiungimento dello scopo essendo evidentemente illegittima una successione indiscriminata e non giustificata di incarichi per lo stesso soggetto.
Per quanto riguarda il contenuto della prestazione, la stessa deve anzitutto essere espressione di elevata professionalità.
In primo luogo, caratterizzandosi il rapporto di collaborazione per l'assenza di un vincolo di subordinazione fra committente e prestatore d'opera, è escluso che con tale strumento possano essere affidati compiti di gestione e rappresentanza, che costituiscono le attribuzioni tipiche dei funzionari e dei dirigenti della pubblica amministrazione, i quali sono, invece, in rapporto di subordinazione con il datore di lavoro-amministrazione e, pertanto, agiscono secondo gli indirizzi impartiti e gli obiettivi assegnati, rispondendo del loro operato "secondo le leggi penali, civili e amministrative" (art. 28 Costituzione), laddove nel caso dell'inadempienza contrattuale del collaboratore la sola conseguenza possibile sarà il recesso del committente secondo le norme generali (articoli 1453, 2227 e 2237 c.c.).

In particolare, poiché il collaboratore difetta del requisito indispensabile dell'incardinazione, non potrà mai agire per conto dell'Amministrazione, se non in presenza di una eventuale ed espressa procura. Infatti, l'art. 417 bis c.p.c. conferisce la rappresentanza in giudizio ex lege delle pubbliche amministrazioni nelle controversie di pubblico impiego ai soli "dipendenti" delle amministrazioni e, cioè, a tutti coloro legati da un vincolo di subordinazione ed incardinati nell'amministrazione da difendere. Pertanto, il soggetto esterno all'amministrazione agirebbe quale falsus procurator.

Per quanto concerne gli elementi caratteristici del rapporto, l'articolo 409, comma 3, del c.p.c. individua gli aspetti peculiari che caratterizzano il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa: Come già detto, il vero criterio distintivo del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è costituito dall'assenza del vincolo di subordinazione, ove la dipendenza del lavoratore subordinato dal proprio datore di lavoro ed il potere direttivo di questi assumono un ruolo primario: in particolare, si è davanti ad una subordinazione gerarchica che, per sua natura, rappresenta un vincolo strettamente personale che si riflette, nella normalità dei casi, in una limitazione della sfera di azione del lavoratore, ovvero del suo potere decisionale, organizzativo, di scelta, etc., in ordine all'attività dallo stesso svolta nell'ambito della realtà operativa in cui è inserito. Tale limitazione si manifesta attraverso le imposizioni fissate nell'esercizio del proprio potere direttivo dal datore di lavoro che riguardano i diversi aspetti della prestazione lavorativa, quali la determinazione dell'orario di lavoro, le modalità di esecuzione della prestazione, il controllo del rispetto delle regole impartite, la comminazione di sanzioni disciplinari, etc. Attraverso tali direttive il datore di lavoro individua concretamente i compiti e li rende, pertanto, esigibili.

Prestando la propria attività senza vincolo di subordinazione, il collaboratore non deve essere in alcun modo limitato nel proprio potere decisionale in ordine alla esecuzione del servizio. Ciò non vuol dire che il committente possa essere totalmente escluso da qualsiasi scelta che riguardi l'esecuzione dell'opera o del servizio pattuito; egli, invece, potrà sicuramente verificare e controllare le modalità di esecuzione delle attività affidate, al fine di valutare la rispondenza del risultato con quanto richiesto e la sua funzionalità rispetto agli obiettivi prefissati (verifica dei risultati).
Queste prerogative del committente che si traducono in un potere di coordinazione possono variare di intensità, pertanto andrebbero di volta in volta puntualizzate nel contratto. Peraltro, proprio dall'intensità del potere di coordinamento è caratterizzato il lavoro a progetto, rispetto allo schema tipico del lavoro autonomo.
In argomento, va poi aggiunto che l'articolo 61 del D.lgs. 276/03 limita la propria operatività alle fattispecie di cui all'articolo 409, comma 3, del c.p.c., lasciando fuori tutte quelle prestazioni occasionali non svolte in maniera continuativa che, seppur svolte in assenza di vincolo di subordinazione, non possono dirsi coordinate con i fini del committente.

Distinzione fra rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e rapporto di lavoro subordinato
Rispetto alla distinzione fra rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e rapporto di lavoro subordinato, oltre agli elementi già richiamati dell'assenza del vincolo di subordinazione e dell'autonomia nell'eseguire la prestazione, è opportuno sottolineare come non sia possibile applicare automaticamente gli istituti tipici del lavoro subordinato. In particolare:
  1. non è possibile configurare un obbligo di prestazione oraria e il relativo controllo delle presenze; infatti se è pur vero che potrebbe essere necessario un inserimento del collaboratore nell'organizzazione del datore di lavoro, poiché debbono essere garantiti uno o più risultati continuativi che si integrino in tale organizzazione, ciò dovrà comunque avvenire attraverso una gestione autonoma del tempo di lavoro da parte del collaboratore;
  2. da quanto sopra deriva che al collaboratore non può essere richiesta alcuna attestazione della propria presenza nei luoghi nei quali si svolge l'attività del committente;
  3. non possono essere concessi giorni di ferie; tuttavia, nell'osservanza del principio di coordinamento con l'attività, gli obiettivi e l'organizzazione del committente, può essere programmato un periodo di riposo, cioè la possibilità di sospendere la prestazione per un determinato periodo di tempo;
  4. essendo il diritto ai buoni pasto legato alla circostanza che il lavoratore effettui un orario di lavoro superiore di norma alle sei ore, con la relativa pausa, all'interno della quale consumare il pasto, è evidente, per le considerazioni fin qui svolte, che non è possibile l'attribuzione di tale beneficio ai collaboratori. Peraltro, l'Istituto, al momento della definizione del trattamento economico da corrispondere, ha tenuto conto anche di questo aspetto;
L'approvazione del D.lgs. 276/03 e la sua inapplicabilità al settore pubblico pone anzitutto questioni in ordine al tipo di tutela riconosciuta ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con la pubblica amministrazione ed ai possibili profili di armonizzazione degli istituti giuridici nel pubblico impiego conseguenti all'approvazione della riforma.
In argomento, la norma generale di cui al secondo comma dell'art. 36 del D.lgs. n. 165/2001 impedisce a priori l'operatività di qualsivoglia meccanismo di automatica conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, come invece stabilito per il settore privato dall'art. 69, D.lgs. n. 276/2003. Chiamata a pronunciarsi, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità costituzionale dell'art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001 nella parte in cui esclude che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime Pubbliche Amministrazioni (cfr. sentenza n. 89 del 2003). Ciò, segnatamente, atteso che il principio di eguaglianza non potrebbe, nella specie, ritenersi vulnerato in considerazione della non omogeneità delle situazioni poste a confronto, posto che - anche dopo la cosiddetta privatizzazione - il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici conserverebbe fondamentali peculiarità tali da renderlo profondamente diverso dal rapporto di lavoro intrattenuto con i datori di lavoro privati.

Ciò detto, l'unica tutela accordabile al collaboratore delle amministrazioni pubbliche, in caso di stipulazione del contratto al di fuori dei presupposti di legge, rimane quella risarcitoria nei limiti di cui all'articolo 2126 c.c., configurando una responsabilità amministrativa del dirigente che ha stipulato il contratto illegittimo con addebito del danno erariale verificatosi. Infatti, qualora l'incarico abbia dissimulato un rapporto di lavoro dipendente, costui potrebbe essere chiamato a rispondere, oltre che per l'eventuale responsabilità per danno erariale, anche per i profili attinenti alla responsabilità amministrativa, nonché in sede civile con riferimento al dolo o alla colpa grave. Per quanto riguarda il danno erariale non può, nel caso di specie, sostenersi per escluderne la sussistenza che le somme dovute al collaboratore rappresentino il corrispettivo di una attività lavorativa prestata in favore dell'Ente; la Corte dei Conti, infatti, ha affermato che nei rapporti pubblicistici la c.d. utilità gestoria non opera automaticamente, in quanto non è configurabile un arricchimento dell'Ente - da opporre in compensazione - in relazione ad attività lavorative prestate in violazione di disposizioni imperative.

Trattamento fiscale
Per quanto riguarda il trattamento fiscale, l'articolo 34 della legge n. 342/00 ha operato l'assimilazione dei redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ai redditi da lavoro dipendente.
Sotto l'aspetto previdenziale, la legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare ha disposto l'iscrizione in una apposita gestione separata presso l'I.N.P.S. dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa al fine di estendere anche a tali soggetti l'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti; il contributo è stato rideterminato come indicato dall'art. 51 della legge 23 dicembre 1999, n. 448, che ha modificato il comma 16 dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Il contributo continua, invece, ad essere determinato nella misura del 10% per coloro che siano iscritti ad altra gestione pensionistica obbligatoria o che siano pensionati. Il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 4 aprile 2002 ha adeguato per i lavoratori iscritti alla gestione separata dell'I.N.P.S., la tutela relativa alla maternità ed agli assegni al nucleo familiare alle forme ed alle modalità previste per il lavoro dipendente.

Maternità
L'assegno di maternità viene corrisposto alle lavoratrici, che possono far valere i seguenti requisiti:

Inoltre, l'indennità di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia e spetta anche in caso di adozione o affidamento.

Tutela assicurativa
Sotto l'aspetto della tutela assicurativa, i collaboratori sono soggetti agli obblighi assicurativi qualora svolgano una delle attività previste dall'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 e, conseguentemente, le pubbliche amministrazioni sono tenute a tutti gli adempimenti posti a carico dei datori di lavoro dalla norma citata.

In sintesi
Alla luce di quanto fin qui espresso, si può sintetizzare come segue:
  1. il collaboratore non può agire per conto dell'Istituto e pertanto:
    1. non può validare né certificare alcunché in rappresentanza dell'Istituto;
    2. qualsiasi atto o documento con rilevanza esterna deve essere quantomeno validato o controfirmato dal Dirigente competente;

  2. il collaboratore presta la propria opera senza vincolo di subordinazione e pertanto:
    1. al collaboratore non possono essere impartiti ordini sulle modalità di esecuzione della prestazione;
    2. il Dirigente potrà verificare e controllare le modalità di esecuzione delle attività affidate, al solo fine di valutare la rispondenza del risultato con quanto richiesto; potrà inoltre coordinare l'attività del collaboratore al fine di renderla funzionale rispetto agli obiettivi prefissati;

  3. al collaboratore non è possibile applicare automaticamente gli istituti tipici del lavoro subordinato e pertanto:
    1. non è possibile configurare un obbligo di prestazione oraria e il relativo controllo delle presenze; infatti se è pur vero che potrebbe essere necessario un inserimento del collaboratore nell'organizzazione del committente, poiché debbono essere garantiti uno o più risultati continuativi che si integrino in tale organizzazione, ciò dovrà comunque avvenire in presenza di una gestione autonoma del tempo di lavoro da parte del collaboratore;
    2. da quanto sopra deriva che al collaboratore non può essere richiesta alcuna attestazione della propria presenza nei luoghi nei quali si svolge l'attività dell'Istituto;
    3. non possono essere concessi giorni di ferie; tuttavia, nell'osservanza del principio di coordinamento con l'attività, gli obiettivi e l'organizzazione dell'Istituto, può essere programmato un periodo di riposo, cioè la possibilità di sospendere la prestazione per un determinato periodo di tempo.



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