Una recente sentenza del giudice del lavoro del tribunale di Sulmona - datata 10 giugno 2004 - ha fornito l'occasione
per una breve riflessione sulla giurisdizione delle controversie in materia di pubblico impiego. In particolare,
l'esigenza - avvertita dal citato giudice del lavoro nella stesura dei motivi della decisione - di riprendere
dettagliatamente la questione della giurisdizione del pubblico impiego dopo la c.d. privatizzazione operata dal
D.lgs. 29/1993, può apparire, alla luce delle numerose e significative pronunce giurisprudenziali intervenute
in seguito alle modifiche operate in materia dal D.lgs. 80/1998 e confermate dal D.lgs. 165/2001, quanto meno
singolare. In realtà la circostanza è facilmente comprensibile laddove si considerino le resistenze
culturali (ancora attuali e, presumibilmente, difficili da superare nel breve) ad inquadrare il rapporto di
lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche nell'alveo del diritto privato.
Posto che il fine del legislatore del 1998 era il perseguimento, tra gli altri, degli obiettivi dell'efficienza
e della economicità dell'azione pubblica mirando contestualmente al contenimento dei costi ed alla migliore
utilizzazione delle risorse umane e materiali, per effetto delle suddette innovazioni legislative, il rapporto
d'impiego risulta ormai regolato, sin dal momento della sua costituzione, da atti non più autoritativi,
bensì privatistici e negoziali.
In questa prospettiva, assume rilievo centrale il disposto dell'art. 5, comma 2, del D.lgs. 165/2001, non tanto
nella parte in cui precisa che le “misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte
dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”
(infatti, è ovvio che nell'esecuzione di un contratto vengano in rilievo atti negoziali), quanto in
quella che assegna al diritto privato e al dominio degli atti negoziali anche “le determinazioni
per l'organizzazione degli uffici”, assunte nel rispetto delle leggi e degli atti amministrativi
organizzativi di cui all'art. 2, comma 1; infatti, emerge chiara la consapevolezza dell'impossibilità
di “privatizzare” i rapporti di lavoro senza privatizzare anche, in qualche modo, l'organizzazione
entro la quale il lavoro è prestato. In caso contrario, non sarebbero stati concepibili atti
di gestione del rapporto di lavoro se non accompagnati, doppiati, da atti amministrativi organizzativi
e la controversia di lavoro avrebbe necessariamente implicato sempre questioni di legittimità dell'atto
amministrativo, rendendo vano l'intento di parificare i poteri della P.A. a quelli di ogni altro datore di
lavoro (vedi Cassazione Sezioni Unite, ordinanza n. 1807 del 6 febbraio 2003).
A tale trasformazione ha fatto seguito l'abolizione della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo
in materia e la devoluzione delle relative controversie all'Autorità giudiziaria ordinaria, disposta
dall'art. 68, comma 1, del D.lgs. 29/93 (nel testo modificato), in base al quale “Sono devolute al
giudice ordinario, in funzione di giudice dal lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro con
le pubbliche amministrazioni...” (cfr. ora art. 63, comma 1, D.lgs 165/2001).
Ciò nondimeno, persiste una spiccata specialità della disciplina del rapporto di lavoro pubblico
“contrattualizzato”, caratterizzata:
dal sistema delle fonti concorrenti (la legge e il contratto, ma anche gli atti organizzativi,
normativi o amministrativi);
dal procedimento di formazione dei contratti collettivi del settore e dal sistema di selezione dei soggetti
contrattuali;
dalla natura giuridica e dagli effetti peculiari dei contratti collettivi;
dalla stipulazione del contratto di lavoro con soggetti scelti all'esito di procedure concorsuali;
dalla sensibile deviazione rispetto a regole fondamentali del lavoro privato (inapplicabilità
della sanzione della costituzione di rapporti a tempo indeterminato per la violazione delle regole sulle
assunzioni a tempo; disciplina delle mansioni; divieto di svolgere altre attività e regime delle
incompatibilità, ecc.).
Queste peculiarità di disciplina appaiono, quindi, tali da collocare il rapporto suddetto a metà
strada tra il modello pubblicistico e quello privatistico (in questo senso si Š espressa la Corte Costituzionale
nelle sentenze n. 313 del 1996 e n. 309 del 1997).
La devoluzione al Giudice ordinario della materia del pubblico impiego non è stata quindi totale, restando
residualmente attribuite al Giudice amministrativo alcune materie:
atti amministrativi organizzativi non privatizzati;
procedimenti concorsuali di assunzione;
pubblico impiego di alcune categorie di personale, quali magistrati, avvocati dello Stato, personale
della carriera prefettizia e della carriera diplomatica, militari, forze di polizia, docenti universitari).
Coerentemente però con l'obiettivo di assicurare l'applicazione di una disciplina tendenzialmente omogenea
ai lavoratori pubblici ed a quelli privati, realizzabile solo attraverso la concentrazione della competenza
giurisdizionale presso un unico giudice, la legge n. 59/1997 (c.d. legge Bassanini), in sede di determinazione
dei criteri di delega, ha imposto l'abbandono della prospettiva originaria della l. n. 421 del 1992, tradottasi
nell'elencazione delle controversie devolute al giudice ordinario, prospettiva che aveva comportato l'espressa
esclusione dall'ambito della giurisdizione ordinaria delle controversie inerenti alle materie riservate alle
fonti pubblicistiche, con l'inevitabile effetto di conservare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
per talune questioni pur inerenti al rapporto di lavoro.
La concentrazione della competenza giurisdizionale presso un unico giudice (giudice ordinario) rispetto ad una
controversia che può coinvolgere, insieme, l'atto amministrativo presupposto e l'atto applicativo di
organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro, si realizza utilizzando lo strumento processuale della cognizione
incidenter tantum, senza effetti di giudicato, dell'atto amministrativo (art. 68, comma 1, del D.lgs.
29/93 “Quando - gli eventuali atti amministrativi presupposti - siano rilevanti ai fini della
decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi...”); in particolare, il richiamo dell'istituto
della disapplicazione di cui all'art. 5 legge n. 2248 del 1865, all. E, è indizio preciso che non sono
state prefigurate forme di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario (di dubbia conformità all'attuale
quadro ordinamentale tracciato dalla Costituzione), e che a quest'ultimo si è semplicemente attribuito
il compito di tutelare tutti i diritti soggettivi inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, nella
consapevolezza che anche nelle materie riservate alla legge e sottratte alla contrattazione le situazioni giuridiche
del dipendente hanno, se inerenti al rapporto, la consistenza del diritto soggettivo.
Il fatto che le cause dei pubblici impiegati vengano giudicate dal Giudice del lavoro, invece che dal TAR,
presenta non pochi vantaggi:
il giudice ordinario ha un maggiore accesso al fatto oggetto di lite, disponendo ed utilizzando in pieno
tutti i mezzi istruttori (soprattutto la prova testimoniale), che il codice di procedura civile appresta; il
TAR decide sulla base dei soli documenti prodotti. Si pensi alla sanzione disciplinare: spesso, solo con i testimoni
il lavoratore può provare di non aver commesso il fatto contestato;
il giudice ordinario dispone di ampi poteri cautelari (si pensi alle azioni ex art. 700 c.p.c.), mentre
innanzi al TAR lo strumento cautelare, limitato alla mera sospensiva di atti, appare palesemente inadeguato;
il giudice ordinario decide la causa nel merito, mentre il TAR giudica solo in ordine alla legittimità
dell'atto sotto il profilo della forma e dell'ambito dei poteri (per esempio, eccesso o sviamento di potere).
Per capire la differenza, si pensi sempre ad una sanzione disciplinare: il TAR può annullarla solo in
presenza di un vizio di forma, mentre il Giudice del lavoro può anche verificare se il fatto contestato
sia vero, se la sanzione inflitta sia proporzionata al fatto contestato;
davanti al TAR la causa è destinata a durare a lungo; il Giudice del lavoro decide le cause, di norma,
in tempi abbastanza brevi.
Discussioni sono sorte in relazione alla riserva che la legge ha posto in ordine ai procedimenti concorsuali:
in particolare, si è dubitato che la riserva stessa operasse anche rispetto ai casi in cui il concorso
sia diretto, non già alla costituzione del rapporto di lavoro, ma a determinare vicende giuridiche (promozione)
del personale già assunto. In argomento la Corte di Cassazione a sezioni unite aveva affermato in
passato (cfr. sentenza n. 2954/02) che la riserva riguardava unicamente le procedure concorsuali strumentali
alla costituzione del rapporto di lavoro, con esclusione pertanto dei casi in cui il concorso fosse diretto,
non già alla costituzione del rapporto di lavoro, ma a determinare la semplice promozione del personale
già assunto, atteso che la volontà del legislatore sarebbe stata di attribuire alla giurisdizione
ordinaria tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro - dalla instaurazione fino all'estinzione
- compresa ogni fase intermedia relativa a qualsiasi vicenda modificativa, anche se indirizzata alla progressione
in carriera e realizzata attraverso una selezione di tipo concorsuale: tutto questo in base all'assunto che la
procedura di selezione diretta al conferimento di inquadramenti superiori si traduce in un mero concorso
interno.
Di contro, la Corte Costituzionale ha ribadito che il passaggio da una fascia funzionale inferiore ad una superiore
deve sempre essere effettuato mediante forme di reclutamento che permettano un selettivo accertamento delle
attitudini e dunque mediante pubblico concorso, rilevando altresì come quest'ultimo non debba essere
riservato esclusivamente ai dipendenti interni; la procedura selettiva diretta all'accesso ad una qualifica
superiore integra una vera e propria procedura concorsuale di assunzione nella qualifica indicata nel bando
(cfr. ordinanza della Corte Costituzionale n. 2/01).
L'indirizzo appena descritto ha orientato la Cassazione (cfr. sent. n. 15403/03) a superare il principio secondo
cui in materia di “concorso interno” per la selezione del personale già assunto da inquadrare
in qualifiche funzionali superiori sussiste la giurisdizione del giudice ordinario; più precisamente,
l'art. 63, comma 4, del D.lgs. 165/01, nello stabilire la riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo
nelle controversie in materia di procedure concorsuali per le assunzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni,
si riferisce non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta del rapporto
di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l'accesso al personale già assunto
ad una fascia o area superiore (categorie), atteso che l'accesso del dipendente nell'area superiore di personale
interno o esterno implica comunque un ampliamento della pianta organica. Del resto, deve essere considerato
come un imprescindibile presupposto il principio secondo cui, nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni, l'accesso del personale dipendente ad un'area o fascia funzionale superiore deve avvenire per
mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata, ma costituente in definitiva un pubblico concorso al quale,
di norma, deve essere consentita anche la partecipazione di candidati esterni.
Questioni si pongono in ordine agli incarichi dirigenziali, laddove l'affidamento dell'incarico costituirebbe
provvedimento amministrativo tout court, sebbene seguito da atto negoziale di natura privatistica
(contratto). La sentenza del Tribunale di Sulmona, già citata, in riferimento all'eccepito difetto di
giurisdizione ha puntualizzato che la riserva al giudice amministrativo opera esclusivamente rispetto alle procedure
concorsuali; in particolare, laddove viene sostenuto che l'affidamento dell'incarico dirigenziale costituirebbe
atto finale di procedura concorsuale e, pertanto, rientrerebbe nella riserva della giurisdizione amministrativa,
il giudice citato ha escluso che la procedura per il conferimento di un incarico di dirigente medico di secondo
livello presenti elementi tali da essere ricondotta alla procedura concorsuale. Nella stessa linea si pone il
Tribunale di Catania che, con sentenza dell'8 aprile 2004, affermando che è devoluta al giudice ordinario
la controversia relativa al conferimento di un incarico di dirigente medico di secondo livello, in quanto la procedura
per la nomina non presenta elementi tali da essere ricondotta alla procedura concorsuale. Nella sentenza in commento,
la Corte d'Appello di Catania ha affrontato la questione relativa alla natura dell'atto di nomina del dirigente
medico di secondo livello di un'azienda sanitaria locale. Nella fattispecie, il Collegio ha rilevato che sussiste
la giurisdizione del giudice ordinario e non del giudice amministrativo nelle controversie relative ai provvedimenti
di incarico dirigenziale ai sensi dell'art. 15 d.lgs. n. 502/1992, poiché si deve escludere che le procedure
per il conferimento di detti incarichi abbiano la natura di concorso pubblico. A tal fine, i giudici hanno chiarito
che non basta il fatto che alla procedura siano ammessi soggetti estranei al Servizio Sanitario Nazionale o
soggetti che, sebbene facenti parte di esso, sono legati ad enti diversi da quello che ha indetto la procedura.
In proposito, i giudici di legittimità hanno precisato che, nella procedura prevista per il conferimento
dell'incarico, non è presente alcun elemento idoneo a ricondurre la stessa ad un concorso, ancorché
atipico, atteso che la commissione giudicatrice si deve limitare - dopo le modifiche apportate all'art. 15 d.lgs.
n. 502/1992 dall'art. 16 d.lgs. n. 517/1993 - alla verifica dei requisiti di idoneità dei candidati alla
copertura del posto, in esito ad un colloquio ed alla valutazione dei curricula, senza attribuire punteggi e
senza formare una graduatoria, ma semplicemente predisponendo un elenco di candidati idonei, perché in
possesso dei requisiti di professionalità previsti dalla legge e delle capacità manageriali richieste
in relazione alla natura dell'incarico da conferire. L'elenco dei candidati è, quindi, sottoposto al
Direttore generale dell'azienda, il quale, nell'ambito dei nominativi indicati dalla commissione, conferisce
l'incarico sulla base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, affidata alla sua responsabilità
manageriale. Nel merito, la Corte d'Appello ha affermato che la natura fiduciaria del conferimento dell'incarico
non sottrae l'atto di nomina al sindacato del giudice ordinario, che ben può verificare l'osservanza
delle regole di correttezza e buona fede nell'esercizio della scelta del Direttore generale. Il Collegio,
uniformandosi ad un orientamento già espresso dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione ha affermato
il principio secondo cui tali regole devono essere applicate con riguardo all'attività anche privatistica
della Pubblica Amministrazione, alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art.
97 della Costituzione (cfr. Cassazione Sezioni Unite n. 9332/2002). Pertanto, si deve ritenere illegittimo il
provvedimento di nomina che non contenga una sufficiente motivazione in merito alla scelta operata, perché
tale carenza non consente al giudice di verificare il corretto esercizio del potere attribuito all'amministrazione.
In materia risulta esplicativa la sentenza n. 275/2001 della Suprema Corte nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 18 del D.lgs. 387/98 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del D.lgs. 29/93, e successive
modificazioni, e del D.lgs. 80/98) che ha modificato l'art. 68, comma 1, del D.lgs. 29/93 nella parte in cui
ha devoluto al Giudice ordinario le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi
dirigenziali.
In effetti, quale sia la configurazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti ed in particolare quello
dei dirigenti (per i quali può riscontrarsi un elemento concorrente di preposizione ad un ufficio pubblico),
certamente il legislatore ha voluto modellare e fondare tutti i rapporti dei dipendenti della amministrazione
pubblica (compresi i dirigenti) secondo “il regime di diritto privato del rapporto di lavoro”,
traendone le conseguenze anche sul piano del riparto della giurisdizione, a tutela degli stessi dipendenti,
in base ad una esigenza di unitarietà della materia.
D'altro canto il legislatore ha voluto che, sia pure tenendo conto della specialit… del rapporto e delle esigenze
del perseguimento degli interessi generali, le posizioni soggettive degli anzidetti dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, compresi i dirigenti di qualsiasi livello, fossero riportate, quanto alla tutela giudiziaria,
nell'ampia categoria dei diritti di cui all'art. 2907 cod. civ. come intesa dalla più recente giurisprudenza
di legittimità (v. Cass., sezioni unite, n. 41 del 2000).
Tale tutela è piena, in quanto il giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, è abilitato
ad adottare, “nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi
e di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati”, con capacità di produrre anche
effetti costitutivi o estintivi del rapporto di lavoro (art. 68 D.lgs 29/1993 ora art. 63 D.lgs. 165/01).
Né l'esistenza di un atto amministrativo presupposto nelle controversie relative ai rapporti di impiego
dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, può costituire limitazione alla competenza del giudice
ordinario, quale giudice del lavoro, potendo questi conoscerlo in via incidentale, ai fini della disapplicazione,
anche quando, nei casi previsti, questo atto presupposto rientri nella sfera assegnata alla giurisdizione
amministrativa.
Tuttavia, è comunque escluso che possa sorgere una pregiudizialità amministrativa o una esigenza
di sospensione del processo civile per il fatto della pendenza di impugnazione dell'atto avanti al giudice
amministrativo.
La tutela giurisdizionale del rapporto di lavoro dei dirigenti, ormai senza alcuna esclusione di livelli - essendo
scomparsa ogni differenziazione anche rispetto alla dirigenza generale - è stata attratta nella devoluzione
al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, in capo al quale si concentra la titolarità
della giurisdizione sulle posizioni soggettive dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, salve le eccezioni
previste.
Peraltro, l'inclusione, tra le controversie relative ai rapporti di lavoro devolute al giudice ordinario, di
quelle concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali (senza distinzione di livello),
risulta completamente in linea con i principi ed i criteri direttivi che il legislatore delegante aveva
voluto fissare per l'emanazione delle disposizioni in oggetto. In realtà, si tratta di una norma di
chiusura e di completamento delle previsioni, sostanzialmente innovativa per la sola dirigenza generale ed
equiparata, perfettamente adeguata alla espressa indicazione, contenuta nella delega, di perfezionare “l'integrazione
della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato”, unificando la tutela giurisdizionale
anche per i dirigenti, senza alcuna distinzione (Corte Costituzionale n. 275/2001).
Questa discussione consente anche di aprire una breve parentesi in materia di concorsi nella P.A. e per quel
che interessa il Servizio Sanitario Nazionale. L'art. 1 del D.P.R. n. 220/01 Regolamento recante disciplina
concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio Sanitario Nazionale stabilisce che Le procedure
concorsuali previste dal presente regolamento riguardano una percentuale non inferiore al 70% dei posti disponibili
per ciascuna categoria nel suo complesso, al fine di garantire quanto disposto dall'articolo 36, comma 1, lettera
a), del D.lgs. 29/93. La copertura della restante percentuale non superiore, comunque, al 30% dei posti disponibili,
sarà effettuata mediante le selezioni interne previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro.
È esclusa ogni ulteriore riserva di posti a favore del personale interno. Il C.C.N.L. comparto
Sanità personale non dirigente - parte normativa 1998/2001 e parte economica 1998/1999, stipulato in
data 7 aprile 1999, fissa - all'art. 16 e seguenti - criteri e procedure per i passaggi tra categorie, individuando
nella selezione interna il normale strumento della progressione di carriera del personale assunto.
Le norme appena citate costituiscono, insieme al meccanismo della riserva dei posti agli interni, perfetto esempio
della possibilità di deroga al principio costituzionale del concorso posto dallo stesso art.
97 Cost., che fa salvi i casi stabiliti dalla legge. D'altra parte, non va dimenticato che in base
all'art. 40, comma 1, del D.lgs. 165/01, che stabilisce che la contrattazione collettiva si svolge su tutte
le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali, i soggetti delle trattative si sono
sentiti legittimati da un lato a porre una disciplina in materia concorsuale e per altro verso a prefigurare
un sistema di sviluppi professionali e di procedure selettive per il personale assunto.
In particolare, una prima deroga riguarda i destinatari della procedura, che sono soltanto i dipendenti già
in servizio, mentre un'altra eccezione è rappresentata dalla non necessità del possesso di un
titolo di studio coerente con il tipo di funzioni che si andranno a ricoprire.
Le deroghe stesse, comunque, risultano operare nel pieno rispetto del principio di adeguato accesso dall'esterno
al pubblico impiego, posto da tutti i CC.CC.NN.LL. (cfr. art. 14 C.C.N.L. comparto Sanit… personale 7 aprile
1999 Il regolamento previsto dall'art. 18 del decreto legislativo 30.12.1992, n. 502 disciplina l'accesso
alle categorie dall'esterno mediante i pubblici concorsi ovvero con le procedure di avviamento di cui alla legge
28 febbraio 1987 n. 56, stabilendo, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 36 del d.lgs. n. 29 del 1993,
le modalità per garantire in misura adeguata l'accesso dall'esterno a ciascuna categoria).
Sinteticamente, si può affermare che per la copertura dei posti vacanti di dotazione organica, oltre le
procedure di mobilità, ci si trova di fronte ad un sistema composito, costituito da:
concorsi pubblici aperti solo agli esterni (non nel senso che gli interni non possano partecipare, ma solo
nel senso che agli stessi non è riconosciuta riserva);
concorsi pubblici con riserva di posti agli interni;
progressioni interne.
Le percentuali stabilite dall'art. 1 del D.P.R. n. 220/01 forniscono, per il personale non dirigenziale del
Servizio Sanitario Nazionale, il criterio per dare contenuto concreto alla nozione di adeguatezza. Se si riflette
sul fatto che la norma citata riserva alle selezioni interne il 30% dei posti disponibili, appare agevole comprendere
come in concreto le possibilità di accesso dall'esterno siano in realtà facilitate dalla circostanza
che i candidati dei concorsi pubblici non dovranno presumibilmente misurarsi con concorrenti oggettivamente favoriti,
dal possesso di titoli di servizio e di indubbia esperienza nella materia, in quanto gli stessi avranno avuto
le loro chance nelle selezioni interne.
Facendo un passo indietro, può osservarsi come l'art. 35 del D.lgs. 165/01 ha stabilito che l'assunzione
nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite procedure selettive volte all'accertamento della professionalità
richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno. La dizione della legge - procedure selettive -
sembrerebbe cedere ad un diffuso processo di critica al meccanismo del concorso, ormai frequente in quella dottrina
che porta alle massime conseguenze il processo di privatizzazione del pubblico impiego. A parte le condivisibili -
a parere dello scrivente - ragioni di opportunità a sostegno di questa tesi, ciò nondimeno l'insofferenza
verso il principio concorsuale presenta gravi problemi di legittimità e di costituzionalità (basti
ricordare che, a livello strettamente positivo, tra le materie non privatizzate vi è quella dei
“procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro” giusta l'art. 2,
comma 1, lett. c, n. 4, Legge n. 421/92 di delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle
discipline in materia di pubblico impiego).
Riferimenti giurisprudenziali
- Tribunale di Sulmona sentenza n. 237/2004
- Corte di Appello di Catania sentenza 08.04.2004
- Cassazione Sezioni Unite sentenza n. 15403/03
- Cassazione Sezioni Unite ordinanza n. 1807/2003
- Cassazione Sezioni Unite n. 9332/2002
- Cassazione Sezioni Unite sentenza n. 2954/02
- Corte Costituzionale sentenza n. 275/2001
- Corte Costituzionale ordinanza n. 2/2001
- Cassazione Sezioni Unite sentenza n. 41/2000
- Corte costituzionale sentenza n. 309/1997
- Corte costituzionale sentenza n. 313/1996
Riferimenti normativi
- D.Lgs. 30-3-2001 n. 165 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche
- D.Lgs. 29-10-1998 n. 387 Ulteriori disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n.
29, e successive modificazioni, e del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80.
- D.Lgs. 31-3-1998 n. 80 Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle
amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa,
emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.
- D.Lgs. 3-2-1993 n. 29 Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421
- L. 23-10-1992 n. 421 Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia
di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale.